L'operazione Entebbe, il salvataggio di un gruppo di ostaggi da parte dei militari israeliani all'aeroporto di Entebbe, Uganda, nel 1976, è al centro di 7 Days in Entebbe, nuovo thriller a tinte forti di José Padilha. Dopo aver saggiato gioie e dolori di Hollwyood dirigendo il reboot di RoboCop, Padilha ha aderito un progetto di tutt'altro tipo, una pellicola spinosa che mette il dito nella piaga del conflitto israelo-palestinese. Daniel Brühl e Rosamund Pike interpretano due terroristi tedeschi di estrema sinistra che, dopo aver sposato la causa palestinese, decidono di dirottare un aereo della Air France proveniente da Tel Aviv e diretto a Parigi con la complicità dei terroristi palestinesi.
Come un regista brasiliano possa occuparsi con tanta decisione della causa israelo-palestinese ce lo spiega lo stesso Padilha: "Ho ricevuto la sceneggiatura dai produttori. Era scritta molto bene da Gregory Burke e raccontava due storie parallele, quella dei terroristi e quella del governo del Primo Ministro di Isarele Yitzhak Rabin, chiamato a decidere come gestire la crisi. C'era un libro molto importante sulla questione. L'ho letto, poi sono andato a Londra e in Israele dove ho incontrato alcuni ostaggi, ho parlato con le persone che erano volo, per me era importante toccare con mano le loro testimonianze". Il risultato è un thriller politico teso e appassionante che a suo modo analizza i vari aspetti del dirottamento e della situazione politica generale in cui l'atto si colloca. In questa nuova veste Padilha sembra aver convinto tanto da spingere alcuni critici a evocare Costa-Gavras. "Dieci anni fa l'ho incontrato qui a Berlino, amavo il suo cinema" spiega il regista. "Quando ho conosciuto Jonathan Demme, un altro maestro, gli ho detto che volevo fare un film di finzione. Lui mi risposto 'Per fare il regista devi essere un bravo attore. Il segreto è avere un bravo direttore della fotografia e fingere di sapere cosa si stia facendo".
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Nel cuore della crisi
Nel ruolo dei terroristi tedeschi, Wilfried Böse e Brigitte Kuhlmann, José Padilha ha voluto Daniel Bruhl e Rosamund Pike. La scelta di Bruhl, uno dei pochi nomi tedeschi famosi a livello internazionale, è stata quasi obbligata. Padilha ammette: "E' la prima persona a cui ho pensato. Avendo interpretato Good Bye, Lenin!, poteva comprendere le idee marxiste del suo personaggio". "Lavorando con Jose non ho avuto bisogno di bere caffè" scherza Daniel Bruhl. "Basta la sua energia, è imprevedibile. Ogni giorno arrivata sul set con un'idea nuova e supportava le nostre scelte. Siamo stati io e Rosamund a suggerire la possibilità di girare alcune scene in tedesco e lui ha accettato". "Jose corre dei rischi" aggiunge Rosamund Pike. "Voleva raccontare una storia provocatoria, che facesse riflettere le persone. Ogni giorno arrivavamo con un programma che regolarmente buttavamo nel cestino. Credo sia un'usanza brasiliana, ma è stata una sfida interessante. Mi ha dato la libertà di esplorare il mio personaggio, di immergersi al suo interno".
Daniel Bruhl e Rosamund Pike hanno avuto sulle proprie spalle la responsabilità di interpretare due persone reali, figure controverse i cui ideali li hanno spinti alla violenza. "Essere coinvolto in un soggetto così complesso è stata una grande responsabilità" ammette Bruhl. "Ma la storia era in un buone mani. La prima volta che ho incontrato Jose ci siamo messi a parlare di politica tedesca,. Lui ha idee forti". L'attore ci tiene a prendere distanze dal suo personaggio. "Non è necessario sentire empatia, ma occorre comprendere le sue motivazioni. Sono cresciuto in una famiglia che mi ha abituato ad analizzare tutti gli aspetti di un evento, conosco le sue ragioni posso capire da dove provengono le sue idee". Rosamund Pike ammette di non essersi sentita troppo in difficoltà a dare vita alla sua Brigitte: "Eddie Marsan, che interpreta Yitzhak Rabin, aveva più pressione perché il suo è un personaggio famoso, esistono video. Noi abbiamo avuto una certa libertà a colmare i gap. La difficoltà vera, per me, è stato imparare il tedesco con l'accento degli anni '70, che è diverso da quello odierno. Brigitte non parla bene inglese, questo è il motivo per cui risulta più fredda con gli ostaggi, non riesce a comunicare con loro. Per un attore parlare male è una sfida che ho accettato".
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Ballando all'inferno
A chi lo accusa velatamente (ma neanche tanto) di avere umanizzato troppo le figure dei suoi terroristi, affidando i ruoli a due star molto amate, Jose Padilha ribatte: "La verità è l'unica difesa. Anche i terroristi hanno una coscienza, sono esseri umani, non sono zombie. Se io avessi voluto dimostrare che i terroristi non hanno coscienza e sono tutti uguali negherei la verità dei fatti, cioè che il personaggio di Daniel si rifiuta di uccidere gli israeliani. Compiono azioni terribili, ma sono esseri umani. Sarebbe folle sostenere l'opposto". Il regista prosegue: "Fin dalla prima bozza di script, le motivazioni dei due gruppi terroristici sono molto diverse. I palestinesi provengono da un conflitto, i tedeschi dalla sinistra rivoluzionaria anni '70, agiscono per il marxismo, per le idee. Bose era un libraio, non sopportava di essere definito nazista. Brigitte, che proviene da un ambiente borghese, diventa aggressiva per compensazione".
In una pellicola così densa a livello politico, che dedica ampio spazio a mostrare la difficoltà di Rabin a intavolare trattative pacifiche, osteggiato dagli altri politici, Jose Padilha si ritaglia uno spazio per l'arte sotto forma di danza. La fidanzata di uno dei militari israeliani è una danzatrice e lo spettacolo che sta preparando funge da leitmotiv. "Israele e la Palestina vivono una costante situazione di paura diffusa dai politici radicali di destra, una strategia comune in tutti i paesi" spiega il regista. "I ballerini danzano in abiti ortodossi, le loro mosse suggeriscono movimenti di dolore autoinflitto, nel frattempo una ballerina cade dalla sedia. Questo è un modo per veicolare un'idea implicita già nel film. Rabin voleva ridurre il budget militare di Israele, investire in educazione e cultura. Come visualizzare questo aspetto? Usando la danza come metafora".