2035, fuga da Londra
Ci si entra in punta di piedi in Doomsday, nonostante intorno il frastuono e la ridondanza non permettano al pensiero grandi distrazioni. E' il rischio dell'abbaglio che condiziona. I toni pomposi e apocalittici del voice-over di Malcolm McDowell (logicamente fuori controllo, perfino anche solo come voce narrante, per chi ha avuto il piacere della visione originale) e l'incipit omaggio a 1997: fuga da New York non placano gli improvvisi dubbi su Neil Marshall, reo di aver sfornato tre anni fa il miglior horror degli ultimi anni - The Descent - Discesa nelle tenebre. Non dovrebbe essere un titolo di demerito, ma le frequenti frustrazioni da aspettative mal riposte condizionano la visione, almeno fino a quanto l'esibita, trionfale e contagiosa spettacolarità del film e le scorribande dell'eroina sanguinaria Eden (Rhona Mitra) non impediscano di fatto altre divagazioni.
L'apocalisse ha cambiato faccia, ma soprattutto forma. Almeno in Inghilterra, dove lo scenario post-atomico è stato ormai sostituito dall'ossessione della malattia e del contagio (fosse mai che l'ammirazione per il sistema sanitario inglese sia un mito esclusivamente extra-britannico?) da 28 giorni dopo a 28 settimane dopo, fino appunto a Doomsday che racconta il ritorno a Londra di un virus letale che aveva decimato tutto il Regno Unito 25 anni prima. La soluzione dell'isolazionismo era stata drastica ma inefficace e ora il governo inglese si vede costretto a operare in segreto, mandando l'agente Eden Sinclair (figlia di una delle donne morte nel primo contagio) in Scozia per scoprire come sono riusciti a sopravvivere alcuni superstiti, sulla cui esistenza esiste il segreto militare. Ma all'arrivo in Scozia la Task-Force guidata da Eden viene attaccata violentemente da un gruppo di combattenti con a capo il folle Michael Canaris, oppositore del dottor Kane, a capo dell'altra setta del paese e in preda ai deliri darwinisti causati dall'isolazionismo forzato.
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