Prima, durante e dopo; questo è il ritmo temporale che più o meno consciamente il regista serbo Danis Tanovic ha impartito al suo percorso cinematografico di guerra. Dai filmati realizzati per l'esercito fino al successo internazionale di No Man's Land, che si aggiudica ben 40 premi internazionali tra cui l'Oscar e il Golden Globe come miglior film straniero, il conflitto jugoslavo e la sua forza distruttiva conquistano la ribalta di una narrazione volta a evitare qualsiasi forma d'oblio. Un percorso che in Triage, presentato al Festival di Roma nel 2009, non perde di drammaticità ma si cristallizza con uguale prepotenza sulla pellicola fotografica e nella mente di un reporter incapace di gestire un futuro da superstite. Oggi, a queste due storie di guerra Tanovic aggiunge una terza visione che, con il ritratto di una microsocietà in condizione prebellica, completa idealmente il viaggio all'interno di un'umanità protagonista suo malgrado di una delle pagine più cruenti della storia moderna. Distribuito dall'Archibald Enterprise Film in 20 copie dal 27 maggio e ispirato al romanzo omonimo di Ivica Djikc, Cirkus Columbi porta sullo schermo, attraverso gli eventi quotidiani di una piccola comunità e la misteriosa fuga di un gatto nero, la perdita d'innocenza di un'intera nazione ciecamente ingenua e incapace d'interpretare i segni premonitori di un conflitto sempre più inevitabile. Un modo, questo, con cui il regista di guerra Tanovic non vuole certo celare il passato tra le ombre della negazione ma rendere ancora più chiaramente tangibile la consapevolezza di ciò che è stato e che mai più dovrà ripetersi.
Il film prende spunto dal romanzo Cirkus Columbia. Quale aspetto del racconto l'ha conquistata a tal punto da cercare una trasposizione sul grande schermo?
Danis Tanovic: E' tutta colpa di uno dei miei più cari amici, è stato lui a consigliarmelo. Il romanzo mi ha conquistato soprattutto per la sua capacità di portarmi indietro nel tempo, di ricondurmi alla mia infanzia e ad un mondo che conoscevo fin troppo bene. In modo particolare sono rimasto affascinato dalla cieca e sorda follia di un protagonista che, nonostante il mondo intorno a lui stia drammaticamente cambiando, si ostina nella ricerca di una vita normale a tutti i costi. Un po' come è successo a me alla vigilia dell'inizio del combattimenti. Ricordo che la sera prima dello scoppio della guerra mi trovavo al montaggio di un film realizzato per la università e la mia mente era lontanissima dagli avvenimenti politici del paese.
Danis Tanovic: Non so dirlo, probabilmente faccio film di questo tipo semplicemente perché vengo dalla Bosnia. Ancora oggi a Sarajevo sembra che la guerra sia avvenuta solamente ieri, le persone continuano ad aver paura e il nazionalismo è sentito come una minaccia. Nello specifico credo di aver raccontato questa storia per i miei genitori e per la loro generazione. Allo stesso modo volevo che i ragazzi d'oggi comprendessero quello che avevamo prima del conflitto e che abbiamo irrimediabilmente perso. Per me era soprattutto importante raccontare l'arrivo del nazionalismo come un elemento di distruzione incapace di proporre alcuna soluzione. Certo la mia attenzione di cineasta non è concentrata solamente su una sola tematica eppure, nonostante questo, la mia sensazione è che siamo molto più vicini alla guerra che a un futuro di pace. Non sono certo un messaggero e non voglio esserlo ma ho cominciato a vedere le cose in modo diverso. Probabilmente tutto dipende dall'essere padre di cinque figli e di non volerli vedere diventare carne da macello in un altro conflitto. In definitiva non riuscirò mai a superare ciò che ho vissuto ma imparerò sicuramente a conviverci.
Al centro di Cirkus Columbia c'è soprattutto una storia d'amore contesa tra due donne. In questo caso le figure femminili delle due mogli di Divko sono la metafora del passato e del futuro rispetto a ciò che avverrà?
Danis Tanovic: Si certo, potrebbe esserci una metafora del genere però mi odierei se fosse solo questo. Per spiegare meglio cosa intendo vi racconto una storia che mi è accaduta durante la guerra e che ha cambiato la mia vita per sempre. In quegli anni mi trovavo in prima linea nell'esercito bosniaco a Sarajevo, stavo cercando di tornare a casa dopo una giornata di combattimenti quando decisi di andare a trovare un mio vecchio amico pittore che abitava nelle vicinanze. Ricordo di averlo trovato intento a dipingere a lume di candela il ritratto di una Sarajevo innevata. In quel momento, l'ostinazione a mantenere intatta la sua natura d'artista nonostante un mondo sull'orlo della distruzione mi era incomprensibile. Solamente dopo una notte passata a riflettere sulla mia o sulla sua follia sono giunto ad una conclusione. Così, la mattina appena alzato sono corso da lui con una macchina da presa per filmarlo e per cercare di catturare il significato dell'ispirazione artistica nonostante fossimo preda di tanta morte. Due settimane dopo, ebbi un'esperienza completamente diversa in compagnia di un fotografo con cui realizzavo dei reportage dalle zone di guerra. Faceva molto freddo nel suo atelier e per scaldarsi il mio amico decise di bruciare le sue foto. Un gesto incredibilmente forte che, messo in contrapposizione con la forza creatrice dell'arte a tutti i costi, mi fece capire di avere tra le mani una storia ed un film. Di fronte a me avevo un uomo che distruggeva ed un altro che costruiva ed ognuno aveva ragione perché credeva di fare la cosa giusta. Questa dualità ha dato vita a Ritratto di un artista durante la guerra, ancora oggi il mio film preferito, recepito dal pubblico in modo del tutto diverso e personale. Per alcuni ero in sintonia con il pittore, per altri ero dalla parte del fotografo. In realtà non ha nessuna importanza saperlo visto che le persone trovano da sole ciò di cui hanno bisogno, soprattutto in storie e tematiche così importanti.Dalla fine del conflitto ad oggi sono usciti molti film sulla guerra in Jugoslavia che, tranne alcune eccezioni, non sono stati accolti dal pubblico italiano con grande calore. Crede che questo dipenda da una sorta di inadeguatezza del nostro paese di fronte ad una guerra troppo vicina ai nostri confini?