Ritratto di donna
Nell'Italia degli anni cinquanta una donna doveva saper stare al suo posto, incarnare il ruolo dell'angelo del focolare e fare dell'uomo il padrone unico della sua esistenza. Eppure non per tutte è stato così, almeno non per quelle che hanno riscattato la propria indipendenza con la forza della cultura e della conoscenza. Nena, giovane figlia di un meridione strutturato su modelli sociali inalterabili, è una di loro. Nata in una famiglia di umili origini, scopre il potere dell'istruzione prima come arma di seduzione e poi come mezzo per raggiungere la piena consapevolezza di se stessa e dei suoi desideri. Spinta a diventare maestra elementare dall'amore per Francesco, giovane romantico dell'alta borghesia che le offre la prospettiva di una vita migliore, accetta il suo primo incarico e si trasferisce nell'entroterra barese. Qui, tra il vento che sferza le pietre delle abitazioni e una popolazione muta e invisibile, si chiude nella sua solitudine, mette in dubbio le proprie scelte professionali anelando solamente al ricordo di un sentimento che, in realtà, si fa sempre più sbiadito. E mentre la natura selvaggia continua a fare eco al suo tormento interiore, da lontano arriva la notizia di un tradimento annunciato. Così, apparentemente sconfitta dai capricci di un amore idealizzato, la ragazza risponde con un matrimonio dalle forme arcaiche ma dall'imprevedibile sviluppo rivoluzionario. Accanto a Giovanni, uomo semplice e costruttivo, Nena affronta le incognite e le difficoltà di un rapporto diretto, scoprendosi finalmente libera e consapevole all'interno di un amore sbagliato, ma solo in apparenza.
Dopo anni trascorsi ad apprendere i segreti del mestiere e a gestire parole e situazioni drammaturgiche, Giorgia Cecere esce finalmente dall'ombra protettiva e rassicurante dei suoi padri professionali (Gianni Amelio e Edoardo Winspeare) per soddisfare un personale bisogno di cinema. Una necessità che viene da lontano e che ha spinto una ragazzina vinta dalla magia narrativa del mondo di celluloide ad affrontare la vita e rintracciare il far west dei suoi sogni. Figlia di una tradizione cinematografica dove la leggerezza della forma si fonde armoniosamente alla profondità dei contenuti, la Cecere accetta, con una certa gioiosa caparbietà, la sfida di mettere in scena un'avventura di confine dove la polvere appesantisce i passi dei suoi personaggi ma traccia anche un sentiero da seguire. Convinta che l'imprevisto possa nascondersi in ogni singola azione quotidiana, inserisce una vicenda strutturalmente piuttosto lineare all'interno della costante mutevolezza della natura aspettando l'alchimia desiderata e sperata. Un risultato che non tarda a mostrarsi e a fare di una storia d'emancipazione femminile, in fondo già esplorata, un viaggio in solitaria verso la crescita personale e quella ben più complessa di un'intera società. Viste le premesse, sarebbe facile speculare su tematiche maschiliste o addossare a Il primo incarico un messaggio neofemminista se non fosse che la voce della regista si alza per narrare il percorso evolutivo della sua Nena senza alcuna velleità sociologica o filosofica, ma con il rimbombo sommesso di un inno d'amore alla complessa bellezza del genere femminile. Puntualmente chiusa, schiva e umorale nella rappresentazione del suo personaggio, Isabella Ragonese si aggira tra i muri bianchi dei trulli, nella povertà contadina dell'epoca e nella semplicità dei rapporti offrendo non un ritratto ma fotogrammi di memoria priva di alcun giudizio a posteriori. Allo stesso modo, arrancando tra i campi arsi dal sole e affrontando le difficoltà di un territorio sassoso che non ha alcuna intenzione di cedere al volere dell'uomo senza lottare, l'attrice tratteggia l'immagine di una creatura dai lineamenti antichi ma dalla caparbietà senza tempo. Intorno a lei si radunano altri volti inaspettati, segnati dalla vita comune, così profondamente legati alla terra da costituirne un tutt'uno. E, in questo gioco di sguardi eloquenti e di mutismi colmi di significati, l'immagine storica e quella riprodotta si sovrappongono senza far intravedere l'una i confini dell'altra. Unico elemento disarmonico all'interno dell'intero percorso narrativo sono i personaggi maschili, costantemente sfocati e fuori inquadratura. Un risultato che, probabilmente, non si deve ad alcun presupposto sessista ma ad una certa superficialità in fase di scrittura. Vittime della mancanza di dettagli e di un esubero di dissolvenze, il loro oblio pesa sull'intera narrazione come un passo falso che non permette al film di raggiungere il suo scopo finale.
Movieplayer.it
4.0/5