E' stato un incontro piacevole quanto affollato, quello che ha seguito la proiezione stampa romana di Un giorno della vita, esordio nel lungometraggio di fiction del regista di documentari Giuseppe Papasso. Un film piccolo e toccante, la storia di una provincia meridionale negli anni del boom (appena avvertito in quelle regioni) e del sogno di un ragazzino innamorato del cinema, che si mette nei guai e finisce in riformatorio solo per aver seguito la sua passione.
Alla conferenza stampa, oltre al regista, hanno presenziato il responsabile della Iris Film Christian Lelli, che ha co-prodotto il film, lo sceneggiatore Mimmo Rafele, e gli attori Alessandro Haber, Maria Grazia Cucinotta ed Ernesto Mahieux, oltre al piccolo protagonista (esordiente) Matteo Basso, visibilmente emozionato a causa della particolare occasione.
A prendere la parola per primo è stato Christian Lelli: "E' un film che suscita emozioni positive, una piccola storia dalle grandi passioni. E' stata una sfida farlo uscire in un periodo come questo, ricco di uscite di blockbuster, ma visto che sarà distribuito in 30 copie direi che è già un risultato importante. E' come una sfida tra Davide e Golia, ma nel nostro piccolo l'abbiamo già vinta". Ad intervenire successivamente è stato il regista: "L'obiettivo era quello di raccontare una favola sul cinema, e su un mondo che non c'è più. Io sono un regista di documentari ma ho sempre amato molto il cinema, e soprattutto la sua storia; volevo anche stare attento a non strafare, a mantenere un minimo di sobrietà. Mentre scrivevo pensavo soprattutto a un classico come I 400 colpi di François Truffaut, ma nel film ci sono anche Giovanni Guareschi e i suoi Don Camillo e Peppone, oltre a Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. A differenza del protagonista di quest'ultimo film, il mio non riesce nel suo intento, perché è bloccato e frustrato nella sua passione da suo padre. Il film è ambientato nel '64, che è stato un anno importante per l'Italia: ci sono stati i funerali di Togliatti, che hanno un ruolo importante nella storia, ma anche i primi topless, il Concilio, e soprattutto la massima espansione sul territorio dei cinema parrocchiali."
Maria Grazia Cucinotta ha poi parlato del suo coinvolgimento nel fim: "E' stato Ernesto a coinvolgermi nel progetto, mi ha chiamata dicendomi che c'era un ruolo per me. Ho letto la sceneggiatura e me ne sono subito innamorata, è una favola che ti riporta all'ingenuità e alla semplicità dell'infanzia: non si riesce a condannare il piccolo protagonista per il suo furto, proprio per l'ingenuità con cui lo commette. E poi ha il merito di portare il cinema nel paese, un mezzo di cui si innamorano tutti: dalla chiesa che lo usa per riportare gente in parrocchia, alla politica. Oltre a questo, devo dire che io mi calo bene nei personaggi anni '50-'60, mi piacciono le donne che non entrano in competizione con gli uomini, ma che tirano fuori il carattere quando è necessario. A volte oggi le donne perdono la loro femminilità, entrano in competizione con gli uomini, specie nella carriera: ma il prezzo è alto, specie se sono costrette a trascurare la famiglia. Io la vedo come una perdita, non come un guadagno."E' stato poi Alessandro Haber a parlare del suo ruolo e della sua scommessa nell'interpretare un film così piccolo, diretto da un esordiente: "Non è la prima volta che interpreto un'opera prima, a me piace mettermi continuamente in gioco. Mi piacciono le sfide. E' come un gioco d'azzardo, ma a me piace: tanti miei colleghi fanno calcoli prima di accettare un ruolo, ma che senso ha? Tanto non resteremo ai posteri, la gente si è già dimenticata di Volonté e Mastroianni, figuriamoci di noi. La figura del giornalista che interpreto è come quella di un angelo protettore, lui è quello che racconta la storia e permette di salvare il protagonista e il cinema." "Ho interpretato tanti personaggi negativi nella mia carriera, ma un ruolo come questo mi mancava", ha detto Ernesto Mahieux, che nel film interpreta il prete del paese. "L'ho voluto fare per arricchire la mia gamma, e poi io adoro gli anni '60 e tutto ciò che ad essi è collegato. Ho solo dovuto rispolverare un po' la memoria."
Il regista è poi tornato sui suoi riferimenti, e sull'ambientazione del film: "Ho voluto creare un'opera che fosse più onesta possibile, mantenendo quella che con un brutto termine viene chiamata onestà intellettuale. Avere dei modelli è inevitabile, anche inconsapevolmente: alcuni li hai addosso, e mentre giri vengono fuori automaticamente, perché fanno parte del tuo bagaglio culturale. Rispetto a un film come Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, il mio protagonista non riesce ad operare quel cambiamento che sperava, ma questo dipende dalla realtà della società meridionale: diciamocelo chiaramente, in alcuni paesi del sud le cose sono rimaste uguali ad allora, sono arrivati i computer e i telefonini, ma il modo di pensare della gente è rimasto lo stesso. Il tempo, lì, sembra che si sia bloccato. Per quanto riguarda le location, comunque, il film è stato girato in massima parte a Melfi, luogo da me scelto dopo che avevo visto Io non ho paura di Gabriele Salvatores: quei posti mi colpirono ed ebbi la curiosità di visitarli di persona. Il rapporto con le persone del luogo è stato bellissimo, comunque: quando giri un film a basso costo, devi guadagnarti la fiducia delle comparse, far capire che non stai cercando di fregarli. Per far questo ci vuole il rapporto umano, e noi siamo riusciti ad instaurarlo".