Per la presentazione alla stampa dell'atteso The Green Hornet, commedia supereroistica in cui viene riesumato un personaggio creato negli anni '30, già portato sul piccolo schermo in un serial televisivo con Bruce Lee, il regista Michel Gondry e gli interpreti Seth Rogen, Christoph Waltz e Cameron Diaz hanno incontrato i giornalisti romani, raccontando la genesi del film e l'ingombrante eredità con cui si sono dovuti confrontare.
Il serial del 1966 fece scoprire Bruce Lee al grande pubblico. Cosa farà scoprire invece questo film?
Michel Gondry: Beh, la vera opera originale è stato il serial radiofonico degli anni '30, è lì che è nato il personaggio ed è stata quella la mia prima fonte di ispirazione. Ho sempre avuto una passione particolare per la radio, è un mezzo che permette di spaziare molto con l'immaginazione.
Come si è trovato a lavorare con Seth Rogen? Sul set ha avuto massima libertà o ha dovuto subire qualche limitazione?
Michel Gondry: Ho avuto pieno modo di esprimere la mia libertà, ma il film è stato innanzitutto un lavoro collaborativo. Seth Rogen ha portato la sua visione, io la mia.
Waltz, lei nel film interpreta il "cattivo". Si è in qualche modo ispirato ai fumetti?
Gondry, lei è specializzato in opere visivamente molto "difficili", con messe in scena elaborate. Cosa c'è di difficile, invece, nel girare un action movie?
Michel Gondry: In questo film in particolare, la difficoltà, la vera sfida, è stata calibrare l'elemento d'azione con quello umoristico. Sono due aspetti entrambi presenti nel film, e volevamo che si integrassero.
Come ha fatto in modo che questo film, abbastanza diverso dai suoi precedenti, si integrasse nella sua filmografia, e ne diventasse un tassello?
Michel Gondry: Viste le dimensioni del film, io non lo definirei un tassello, una parte di qualcos'altro, ma un'opera a sé, che si mette in mostra. Io dedico molta attenzione a qualsiasi mio lavoro, specie se, come in questo caso, mi impegna per un lungo periodo di tempo.
Waltz, lei ha interpretato spesso villain per cui è facile tifare. Come si è trovato, in questo caso, a vestire i panni di un personaggio che comunicasse odio e umorismo insieme?
Christoph Waltz: Io non cerco mai l'effetto, ma mi faccio guidare dal personaggio. E soprattutto non lo giudico: mi limito a fornire il materiale ma non mi occupo del contesto, che è quello che potrebbe portare a un giudizio. E' Michel che poi deve integrare il mio lavoro in un contesto.
Michel Gondry: E' importante l'interazione tra il lavoro dell'attore e quello del regista. L'attore sta davanti alla macchina da presa in quello che è il mondo reale, il suo compito è quello di fornire i dettagli. Il regista deve restare fuori da questo perimetro: io non do agli attori indicazioni troppo stringenti, istruzioni precise. Semmai intervengo in un secondo momento, se necessario.
Waltz, interpretare ruoli di "cattivi" la diverte? Non c'è il rischio che questa per lei diventi una prigione dorata?
Christoph Waltz: Lo ripeto: parlare di "buono" o "cattivo" significa dare giudizi, e io evito di darne nel mio lavoro. Giudicare significa arrivare alla fine di un processo, mentre per interpretare un ruolo, per entrare in un personaggio, bisogna essere all'inizio. Se mi ripetessi, se interpretassi ruoli tutti uguali, allora sì che sarebbe una prigione.
Lei è un attore europeo che lavora a Hollywood: spesso per voi c'è il rischio che l'industria vi costringa a interpretare personaggi stereotipati. E' un rischio reale, per lei?
Christoph Waltz: Quello che dice è vero, ma vale anche per gli stessi attori americani. Io sono appena arrivato a Hollywood, sono all'inizio, probabilmente ci vuole un po' di tempo per scardinare questo meccanismo che ci costringe in ruoli stereotipati: bisogna sovvertirlo gradualmente.
Gondry, quant'è diverso l'humour che c'è in questo film rispetto a quello dell'originale?
Michel Gondry: Intanto di originali ce ne sono più d'uno, nel nostro caso, visto che questa storia è esistita sotto forma di serial radiofonico, telefilm e fumetto. Noi abbiamo preso elementi un po' da tutte queste fonti, ma il vero inizio era un foglio bianco, una tabula rasa. La parte umoristica è stata molto importante, così come la definizione dei personaggi. Avevamo molto rispetto per il lavoro fatto da Bruce Lee nel serial degli anni '60, e per questo abbiamo evitato in tutti i modi di imitarlo: anche in quest'ottica abbiamo scelto per quel ruolo un attore come Jay Chou.
Lei in passato ha fatto film fantastici, ma sempre realizzati con mezzi molto artigianali. Com'è stato ora lavorare con i mezzi di un blockbuster, con tanto di stunt, computer grafica e 3D?
Michel Gondry: In realtà qui di computer grafica ce n'è poca, la maggior parte dell'azione è reale, fisica. Se si utilizza in modo spropositato il digitale si ottiene un risultato che è credibile solo per un breve tempo. L'importante è fare le cose in maniera creativa: in quest'ottica rientra anche il 3D, che abbiamo usato solo in alcune parti del film, nei flashback e negli split-screen, in cui era utile creare un senso di profondità.
Seth Rogen, lei ha collaborato al copione. Anche lei è stato influenzato dalla visione umoristica che Gondry ha voluto dare al film?
Cameron Diaz, lei ha interpretato nella sua carriera molti ruoli drammatici, ma ogni tanto la commedia la ricattura. Cosa la diverte in questo tipo di ruoli?
Cameron Diaz: In questo caso sono stati Seth e Michel a chiamarmi, e tre ore dopo avevo già deciso. Io sono un'ammiratrice di entrambi, e sapevo che la loro compresenza sul set avrebbe davvero dato vita a un film diverso.
Rogen, com'è riuscito a convincere i produttori a imbarcarsi in un progetto impegnativo come questo?
Seth Rogen: E' stato molto difficile, visto che finora avevo sempre partecipato a film con budget molto inferiori. Abbiamo cercato di comunicare agli studios che eravamo molto coinvolti in questo film, che ci credevamo, e che i soldi spesi sarebbero stati ripagati. Personalmente sono convinto che questo film piacerà a molte persone.
Cameron Diaz, da The Mask - da zero a mito a oggi lei ha interpretato ruoli tra i più svariati. Condivide la preoccupazione di molte sue colleghe per il tempo che passa, e sul pericolo che ciò rappresenta per un'attrice?
Nel film si parla del potere delle notizie e della responsabilità che ne deriva, e la mente corre subito ai fatti di attualità, alla vicenda Wikileaks. Cosa ne pensate?
Seth Rogen: Devo dire la verità, io di giornalismo non so nulla, e con questo film non volevamo parlare specificamente di questo argomento. Il nostro scopo era fare un film in cui il rapporto tra il lavoro del protagonista nella vita di tutti i giorni e la sua realtà di supereroe fosse diverso dal solito: Peter Parker nella vita è un reporter modello, mentre il mio è un personaggio che sfrutta spudoratamente il suo mestiere di giornalista per far parlare di sé.
Rogen, lei sta entrando ora nel mondo delle star: è conscio dell'importanza di questo passaggio? Lei invece, Diaz, non comincia ad esserne stanca?
Seth Rogen: So che può sembrare strano, ma in realtà in America io sono già alquanto popolare! Questo mi fa piacere, così come mi fa piacere quando vengo in Europa e nessuno sa chi diavolo sia. Mi fa piacere soprattutto che la gente apprezzi quello che faccio, che qualcuno mi avvicini per strada per dirmi che un mio film gli è piaciuto... anziché per darmi un cazzotto in faccia!
Cameron Diaz: Io faccio film perché voglio che la gente li veda, e quando scopro che succede ne sono contenta. Mi ritengo fortunata perché faccio il più bel mestiere del mondo, e quando la gente ride o piange davanti a un mio film, a seconda che sia una commedia o un film drammatico, significa che il mio lavoro l'ho fatto bene. E poi essere fermata per strada, essere riconosciuta da tutti, in fondo è anche bello: è come avere tanti amici.
Il motivo per cui il personaggio di Cameron Diaz non vuole lavorare come giornalista non viene spiegato nel film. E' un mistero che volutamente è stato lasciato come tale, magari in vista di un sequel?
Seth Rogen: La risposta in realtà esiste, ce l'avevamo ma durante il film abbiamo volutamente deciso di non darla. Il fatto che un personaggio abbia un segreto ne accresce il fascino. E sì, certo, potrebbe essere anche materiale per un sequel.