Recensione Lei è troppo per me (2010)

Il debutto registico dell'inglese Jim Field Smith si mantiene in perfetto equilibrio e, malgrado la non originalità di fondo della storia, la commedia resta una pellicola godibile e piacevole, che alterna fasi più goderecce a momenti di inaspettata riflessione.

Rubacuori per caso

Kirk Kettner (Jay Baruchel), agente per la sicurezza dei trasporti dell'aeroporto di Pittsburgh, città del museo di Andy Warhol, cerca molto più dei fatidici quindici minuti di notorietà teorizzati dal padre della Pop Art, per imprimere una svolta alla sua grigia esistenza. Scopriamo quanto sia lastricato di ostacoli il cammino verso l'autostima, quando entra nella sua vita Molly McLeish (Alice Eve) un'avvenente organizzatrice di eventi in viaggio verso New York, che durante i controlli di routine al check point finisce per perdere il suo prezioso cellulare tra le mani dell'impiegato, un tenero ragazzo cresciuto nel culto della mediocrità, nonostante le numerose qualità che lo renderebbero speciale. L'incontro fortuito con Molly diventa l'occasione giusta per provare ad abbandonare l'immagine di eterno "Paperino" che negli anni l'ha comodamente accompagnato. Kirk infatti è uno che si lascia traviare senza opporre resistenza da un fratello maggiore ingombrante e autoritario; uno che ancora soffre per la sua ex fidanzata Marnie, una reginetta di bellezza in disuso che respinge senza sosta gli assalti romantici del nostro eroe ("ti voglio bene come voglio bene alla pizza", gli dice senza pietà), pur continuando a frequentare la famiglia del giovane assieme al suo nuovo boyfriend. Sono però gli amici che condividono con lui lo stesso lavoro ad aver effetti devastanti sulla vita di Kirk. Ogni giorno, tra chiacchiere stanche e discorsi a luci rosse, riflettono con piglio accademico sulla classifica di valori stilata dal carismatico Stainer; un'ideale top ten in cui una come Molly rappresenta il massimo, mentre Kirk è solo un misero 5. A dispetto di tutti, e in primis di se stesso, Kirk il perdente riesce nell'impresa di conquistare la ragazza con lo charme disarmante dell'uomo medio.

Lei è troppo per me è la nuova romantic-comedy targata DreamWorks, diretta da Jim Field Smith. Il grande merito dell'esordiente regista britannico (trent'anni, una vita artistica forgiata dalla scrittura di numerosi sketch teatrali) è di non aver risparmiato sul romanticismo. Un film dalla struttura narrativa totalmente comica, infatti, avrebbe penalizzato il percorso di crescita del protagonista, trasformandolo in una macchietta senza spessore. Tutto si mantiene in equilibrio perfetto e, malgrado la non originalità di fondo della storia, resta una pellicola godibile e piacevole, che alterna fasi più goderecce a momenti di inaspettata riflessione. L'opera rappresenta la consacrazione per il canadese Jay Baruchel, conosciuto al grande pubblico per il piccolo ma intenso ruolo del boxeur disadattato in Million Dollar Baby di Clint Eastwood e per la partecipazione all'esilarante Tropic Thunder di Ben Stiller. Non particolarmente muscoloso, con un volto pulito e lo sguardo perennemente spaesato, Baruchel le physique du rôle dello 'sfigato' ce l'avrebbe eccome. Riesce lui per primo, però, a non cavalcare l'onda della goffaggine a oltranza, risultando alla fine misurato e accattivante.
Chiave vincente della commedia è proprio la relazione tra i due personaggi principali, un uomo e una donna intrappolati in ruoli stereotipati (l'antieroe frustrato da una parte, la bellona dall'altra), che si liberano a vicenda grazie ad un rapporto che è anche una sfida senza appello che Molly lancia a Kirk e che lui fa sua tra mille traversie e pericolosi ripensamenti. I vari stadi di questa escalation sentimentale vengono raccontati con brio, anche grazie alle gustose caratterizzazioni dei ruoli secondari; dalla famiglia di Kirk, un concentrato di machi repressi e casalinghe querule in salsa barbecue, agli amici di sempre, trentenni infantili e fracassoni capaci però di grandi gesti d'altruismo. Ottima, in tal senso, la prova di T.J. Miller nei panni di Stainer e quella di Nate Torrence, il romantico Devon.

Se il lungometraggio dell'autore inglese regala giusto spazio ad un ottimo attore come Baruchel, c'è gloria anche per Alice Eve, tra le interpreti dell'imminente Sex and the City 2. Non è un caso che nella prima sequenza in cui la sua britannica bellezza appare, ondeggia sui tacchi di un paio di décolleté firmate Christian Louboutin. La Eve ha avuto anche l'occasione di recitare con i veri genitori, gli attori Trevor Eve e Sharon Maughan, che interpretano proprio il padre e la madre dell'eroina femminile. Quello dei suoceri sdegnati che, al cospetto del genero imbranato, non trovano di meglio che criticare la figlia snaturata non è certo il punto più innovativo del film; di altro spessore umoristico è la sequenza della liberazione di Spartacus-Kirk dalle sue pesanti catene familiari. La scena in cui il ragazzo, intrappolato in un assurdo viaggio scaccia crisi in aereo, manda a quel paese padre, madre, fratello, cognata ed ex fidanzata, scatena una giusta dose di ilarità ed è l'anticipazione di un happy-end meritato. In fondo, se anche King Kong per un po' è uscito con Naomi Watts, allora un 5 può essere un 10.

Movieplayer.it

3.0/5