A dispetto del titolo della loro ultima fatica, A Serious Man, durante i loro incontri con la stampa i registi Ethan Coen e Joel Coen sono sempre tutt'altro che seri. Con un'abilità ormai rodata nel corso degli anni, i due fratelli si divincolano da qualunque domanda relativa alla poetica o al significato delle loro opere, rispondendo con la stessa fulminante ironia dei loro script. E se gli suggeriscono che i loro film sono espressione del vuoto postmoderno, immediatamente replicano: "se Antonioni fosse nato in Minnesota avrebbe girato A Serious Man". Insieme all'affabile attore protagonista Michael Stuhlbarg, e inspiegabilmente accompagnati da Giampaolo Letta di Medusa (è la prima volta che a un festival internazionale viene invitato a parlare anche il distributore italiano del film), i due ragazzi terribili del Midwest rifiutano seccamente qualsiasi domanda sull'attualità, citano inaspettati registi preferiti e si concentrano soprattutto sulle radici culturali ebraiche che stanno alla base del film.
A Serious Man si svolge in una comunità ebraica del Midwest alla fine degli anni Sessanta. Tutto lascia pensare che si tratti di una storia molto personale.Joel Coen: Per quanto riguarda l'ambientazione sicuramente, visto che il film è stato girato nei luoghi in cui siamo cresciuti quando eravamo ragazzini. Dal punto di vista della storia, invece, abbiamo solo preso alcuni spunti da episodi che ci sono capitati da giovani, ma gli eventi descritti nel film sono di nostra invenzione.
In questi giorni si è diffusa la notizia di un professore dell'università La Sapienza sostenitore del negazionismo, che enuncia le sue sconcertanti tesi anche in un blog. Come reagite a una notizia del genere?
Ethan Coen: È un fatto molto strano, ci sono tante persone pazze al mondo! Ma, con tutta sincerità, non vedo cosa c'entri questo episodio con il nostro film. Di certo è un fatto molto grave che un professore universitario sostenga queste tesi, ma non credo di poter dire nient'altro in merito.
Nei vostri ultimi film, a partire da Non è un paese per vecchi, descrivete una società americana sempre più vuota, in cui i personaggi non hanno alcuna certezza né qualcosa in cui credere. Anche A Serious Man prosegue in questa direzione. Il vostro obiettivo è quello di denunciare il vuoto che circonda attualmente la società statunitense?Joel Coen: I nostri ultimi film sono ambientati in luoghi molto vuoti. Se intendi dire che ci sono molti spazi vuoti nelle nostre opere, allora probabilmente hai ragione. Per il resto, non credo che i nostri film possano essere descritti come la rappresentazione del vuoto nella società americana...
Michael Stuhlbarg, cosa l'ha spinta ad accettare questa parte?
Michael Stuhlbarg: All'inizio avevo fatto il provino per interpretare il marito yiddish che compare nel prologo del film, ma sono stato scartato perché non parlavo sufficientemente bene la lingua. Poi ho scoperto che, dopo il prologo, si sviluppava un film molto interessante, e mi sono candidato per la parte del protagonista. Ho riso parecchio durante la lettura dello script. Trovo molto veritieri gli aspetti della comunità ebraica descritti nel film
Lei è un attore particolarmente apprezzato sulla scena teatrale, ma fino adesso al cinema aveva recitato per lo più in ruoli secondari. Come si è preparato per la sua prima parte da protagonista su grande schermo?Michael Stuhlbarg: Quando Joel mi ha contattato per dirmi che ero stato reclutato per la parte di Larry Gopnick, per prima cosa ho riletto il copione. Poi ho scritto svariate pagine di domande relative al personaggio e a vari aspetti del film. Ethan e Joen hanno risposto quasi ad ogni mio quesito, e nei pochi casi in cui non riuscivano a rispondere mi hanno detto di inventare. Sono dei registi molto generosi ed è stato facile lavorare con loro. Mi hanno fatto sempre notare con molta gentilezza gli aspetti che secondo loro non andavano nell'impostazione che avevo dato al personaggio.
Quanto è importante che il protagonista di questa storia appartenga a una comunità ebraica?
Joel Coen: È un aspetto fondamentale, perché avevamo in mente proprio di descrivere la comunità in cui siamo cresciuti, e l'essenza di molti aspetti e situazioni del film sono radicati nella cultura ebraica. Anche la scelta di realizzare un prologo in yiddish va in questa direzione: volevamo mettere subito il pubblico a contatto con questa cultura.
Siete dei registi molto cinefili, e attingete molto al cinema del passato. Ma esistono degli autori contemporanei che amate particolarmente e di cui non vi perdete alcun film?Ethan Coen: A me e a mio figlio piace molto Edgar Wright. Abbiamo visto insieme L'alba dei morti dementi e Hot Fuzz e mio figlio si è divertito moltissimo. Adoro anche Nick Park, il creatore dei personaggi di Wallace & Gromit.
Per la vostra grottesca rappresentazione della comunità ebraica vi siete ispirati a personaggi reali?
Joel Coen: Certo, abbiamo tratto ispirazione, più o meno consciamente, da diverse persone incontrate nel corso della nostra vita, ma non avevamo in mente dei personaggi in particolare realmente esistiti. Abbiamo piuttosto amalgamato una combinazione di vari elementi e caratteristiche che appartengono a molte persone differenti.
Quanto il vostro humour nero e il vostro pessimismo trae ispirazione dalle radici ebraiche? Che rapporto c'è, ad esempio, con un altro tipo di comicità influenzato dalla cultura yiddish come quella di Woody Allen?Ethan Coen: Siamo ebrei, questo è un aspetto importante della nostra identità ed è normale quindi che le nostre opere ne siano influenzate, anche se spesso non ne siamo del tutto consapevoli. Ci sono riferimenti alla tradizione ebraica non soltanto per quanto riguarda i temi affrontati, ma anche nelle modalità di narrazione del racconto.
Ethan Coen: Esistono diversi tipi di comunità ebraiche negli Stati Uniti. Noi proveniamo dalla cultura del Midwest, che è molto meno cosmopolita di quella newyorkese alla quale appartiene Woody Allen. I suoi personaggi sono molto diversi da quelli dei nostri film.
Nel tratteggiare il personaggio di Larry avete fatto riferimento alla pazienza infinita di Giobbe, prendendo in giro questo particolare modello di sopportazione che appartiene alla cultura ebraica?
Ethan Coen: Potrebbe sembrare strano, ma non ci siamo ispirati alla figura di Giobbe. In realtà non credo che Larry sia un uomo messo a dura prova da Dio. Si tratta piuttosto di un individuo il cui statu quo è messo completamente a soqquadro da una serie di eventi improvvisi.
Avete ricevuto delle proteste da parte delle comunità ebraiche più ortodosse per il modo in cui sono ritratte alcune figure religiose nel film?Joel Coen: Le comunità ebraiche - non solo negli Stati Uniti ma dappertutto - sono in genere particolarmente sensibili a questi temi e quindi ci aspettavamo qualche reazione negativa. Ma devo dire che fino adesso il pubblico ha reagito positivamente e non ci sono state polemiche.
Le vostre opere sono chiaramente influenzate dal cinema europeo, eppure al tempo stesso avete sviluppato uno stile diverso. Quali sono gli autori europei che percepite come maggiore fonte d'ispirazione?
Joel Coen: Mi è difficile essere specifico su questo aspetto. Avendo visto molti film europei suppongo che ne siamo stati influenzati in qualche modo. Per _A Serious Man_non credo che abbiamo fatto riferimento a opere o autori specifici, piuttosto ci siamo concentrati sul contesto e sull'ambientazione della storia. Ma, visto che mi è stato fatto notare che il nostro cinema rappresenta il vuoto della società americana, penso che abbia poco a che fare con l'Europa... Magari se Michelangelo Antonioni fosse nato in Minnesota, anziché in Italia, avrebbe diretto un film come A Serious Man!
Quando sarà distribuito il film in Italia?Giampaolo Letta: Uscirà il 4 dicembre e sarà la contro-programmazione di Medusa ai blockbuster di Natale. Crediamo molto in questo film e lo sosterremo con un elevato numero di copie.
Per voi A Serious Man è una commedia o una tragedia?
Ethan Coen: Non abbiamo pensato al film in questi termini. Si tratta semplicemente di una storia, alla quale il pubblico può reagire in maniera differente. Noi ci siamo concentrati soprattutto su come far funzionare il racconto, senza pensare più di tanto a quale sarebbe potuta essere la reazione degli spettatori.