Il processo ai Chicago 7: l’America liberal di Aaron Sorkin

Ne Il processo ai Chicago 7, Aaron Sorkin rievoca una pagina importante della storia americana: il nuovo tassello di un grande affresco della politica USA fra cinema e TV.

Trial Of The Chicago 7 Joseph Gordon Levitt
The Trial of the Chicago 7: un primo piano di Joseph Gordon-Levitt

Se c'è un elemento comune rintracciabile nella vasta produzione di Aaron Sorkin fra televisione, cinema e teatro, si tratta della tensione etica che percorre quasi tutti i suoi copioni: storie abitate da personaggi impegnati a confrontarsi con i propri valori e il proprio senso morale, ma soprattutto ad incasellare tale senso morale all'interno di un sistema, sociale e/o politico, destinato a metterlo alla prova. È un trait d'union che, dal dramma del 1989 A Few Good Men (portato al cinema nel 1992 da Rob Reiner) a Il processo ai Chicago 7, seconda regia cinematografica di Sorkin, abbraccia l'intera opera dello sceneggiatore e drammaturgo newyorkese, in una sorta di emblematico "esame di coscienza" dell'America contemporanea.

Le pastorali americane di Aaron Sorkin

A Few Good Men
Codice d'onore: Tom Cruise in una scena del film

L'America, appunto: è la cornice ineludibile delle storie raccontate da Aaron Sorkin fra piccolo e grande schermo, il palcoscenico su cui da trent'anni agiscono i suoi personaggi brillanti e straordinariamente loquaci. La riflessione di Sorkin sul proprio paese, e sulle grandi questioni etiche in grado di scuoterne le istituzioni, parte appunto da A Few Good Men, noto in Italia con il titolo della trasposizione di Rob Reiner, Codice d'onore, in cui l'oggetto dell'indagine di Sorkin - e del processo messo in scena nella pièce e nel film - era l'esercito degli Stati Uniti, nello specifico il corpo dei marine. Il suo capolavoro, The Social Network, diretto nel 2010 da David Fincher e ricompensato con l'Oscar per la miglior sceneggiatura, costituisce un controcanto dell'American Dream elaborato mediante la parabola di Mark Zuckerberg e la cronaca delle cause giudiziarie esplose in seguito alla creazione di Facebook.

The Social Network
The Social Network: un'immagine del film

All'immaginario statunitense, e in particolare al mondo dello sport, a quello della televisione e all'ambiente del giornalismo, fanno riferimento, su vari livelli, altri titoli firmati dalla penna di Aaron Sorkin nel corso degli anni: film quali L'arte di vincere di Bennett Miller e Molly's Game, prima pellicola diretta da Sorkin per il cinema, e serie come Sports Night, Studio 60 on the Sunset Strip e The Newsroom. E i conflitti vissuti dai vari personaggi, con gli altri ma ancor prima con se stessi, rappresentano il cuore pulsante di questi titoli, il motore da cui prende vita l'impianto narrativo; altro caso emblematico, i dissidi - professionali e familiari - del protagonista eponimo di Steve Jobs, che con The Social Network va a comporre uno stupefacente dittico incentrato su figure geniali e tormentate, ma senza traccia dei cliché dei biopic tradizionali.

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Le virtù della Casa Bianca: Andrew Shepherd e Jed Bartlet

Annette Bening nel film Il Presidente
Annette Bening nel film Il Presidente

C'è poi un altro filone, nell'opera di Sorkin, riconducibile alla grande passione dell'autore di The Social Network, insieme al giornalismo: la politica. Si tratta di un microcosmo che Sorkin ha illustrato mirabilmente dall'interno, introducendoci in più occasioni nelle "stanze del potere" e fra le pareti della Casa Bianca, talvolta sul piano della fiction, talvolta appoggiandosi alla realtà storica. Perché del resto, quale miglior banco di prova etico - e quale banco di prova più duro e complicato - si può immaginare rispetto alla responsabilità di chi detiene nelle proprie mani le redini della massima potenza del pianeta? Dunque nel 1995, sempre in sodalizio con Rob Reiner, Sorkin realizza uno dei suoi maggiori successi: Il Presidente, un film in cui la quotidianità dell'inquilino della Casa Bianca viene declinata secondo i codici della commedia romantica.

The West Wing
The West Wing: un'immagine di Martin Sheen

Interpretato da Michael Douglas e Annette Bening, Il Presidente delinea l'immagine di un leader democratico, Andrew Shepherd, il cui carisma personale e l'incrollabile determinazione sono gli strumenti di un progressismo di matrice umanista: un Capo di Stato disposto ad assumersi il peso delle proprie decisioni, incluse quelle più drastiche, senza mai perdere di vista il "fattore umano". In sostanza, un prototipo del Presidente degli Stati Uniti che, fra il 1999 e il 2006, sarà al centro del capolavoro televisivo di Aaron Sorkin: il Jed Bartlet di The West Wing, anch'egli democratico e anch'egli animato da un incrollabile spirito liberal, condiviso dagli altri membri dello staff della Casa Bianca (nonché dallo stesso Sorkin). Un protagonista al quale Martin Sheen, in armonia con l'educazione classica del personaggio e con il suo amore per la latinità, conferisce la gravitas, la dignitas e la pietas, le virtù alla radice della cultura dell'Antica Roma.

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La Guerra Fredda di Charlie Wilson e il Vietnam dei Chicago Seven

Tom Hanks è uno dei protagonisti de La guerra di Charlie Wilson
Tom Hanks è uno dei protagonisti de La guerra di Charlie Wilson

Il Presidente, e ancor di più l'epopea dei due mandati di Bartlet in The West Wing, disegnano pertanto l'utopia di un'America in cui idealismo e realpolitik non sono più due elementi inconciliabili, ma si pongono al servizio del benessere della nazione e delle sue fondamenta sociali e culturali (non a caso uno dei punti fermi della Presidenza di Jed Bartlet consiste nell'implementare la pubblica istruzione). Attingono alla storia, invece, La guerra di Charlie Wilson, sceneggiato nel 2007 da Aaron Sorkin per Mike Nichols, e Il processo ai Chicago 7, co-prodotto da Paramount e DreamWorks ma distribuito da Netflix a causa della pandemia del 2020. Il deputato che dà il titolo a La guerra di Charlie Wilson, e al quale presta il volto Tom Hanks, è il 'burattinaio' che, in collaborazione con la CIA, sostiene e finanzia la lotta dei mujaheddin contro le truppe sovietiche nell'Afghanistan degli anni Ottanta, ignaro delle conseguenze a lungo termine del proprio operato.

The Trial Of The Chicago 7
Il processo ai Chicago 7: un'immagine del film
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Il processo ai Chicago 7: una scena del film con Sacha Baron Cohen

Nell'ultimo film di Mike Nichols, uno dei capitoli cruciali della Guerra Fredda è illustrato attraverso il "dietro le quinte" di Washington D.C., ma con la capacità di assumere anche una prospettiva più ampia e critica rispetto alla politica dell'età reaganiana. Un ulteriore salto nel passato viene compiuto infine nella nuova impresa da regista di Sorkin, in cui la politica entra a gamba tesa in un'aula di tribunale: quella in cui, fra il 1969 e il 1970, i cosiddetti Chicago Seven vengono accusati di cospirazione in seguito agli scontri svoltisi nella capitale dell'Illinois il 28 agosto 1968, durante le proteste pacifiste in coincidenza con la Convention del Partito Democratico e la candidatura di Hubert Humphrey alla Presidenza degli Stati Uniti. In questo caso, lo scenario è l'America a cavallo fra Lyndon Johnson e Richard Nixon, segnata dalla rivoluzione culturale del Sessantotto e dalla catastrofe umanitaria della guerra in Vietnam.

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La coscienza dell'America, ieri e oggi

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Il processo ai Chicago 7: Eddie Redmayne in una scena del film

E Il processo ai Chicago 7, sviluppato nel solco della tradizione del dramma giudiziario, ci restituisce un memorabile affresco di un'epoca le cui inquietudini, a mezzo secolo di distanza, non appaiono poi così dissimili da quelle della contemporaneità. Perché il film di Sorkin celebra le istanze più genuinamente liberal di quell'America, raccolte sotto i vessilli del pacifismo, sottolineando al contempo le divisioni e i contrasti fra le sue diverse anime: la controcultura hippie, incarnata con provocatoria sagacità da Abbie Hoffman e Jerry Rubin (Sacha Baron Cohen e Jeremy Strong); l'attivismo più 'diplomatico' e strutturato, ma non meno vivido e intenso, di Tom Hayden (Eddie Redmayne), fra i paladini delle lotte per i diritti civili; e le impetuose rivendicazioni delle Pantere Nere, con un ottavo imputato, Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen II), che si ritrova suo malgrado a fungere da "vittima sacrificale" sotto lo sguardo del giudice Julius Hoffman (Frank Langella).

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Il processo ai Chicago 7: Mark Rylance, Kelvin Harrison Jr., Yahya Abdul-Mateen II in una scena del film

Alla sfrontata ostilità del giudice, e alle motivazioni prettamente politiche dell'accusa portata avanti, per conto dell'amministrazione Nixon, dal Procuratore Generale John Mitchell (John Doman), Aaron Sorkin contrappone così la "meglio gioventù" dell'America di quegli anni: la forza morale di chi si espone in prima linea nell'intento di denunciare e correggere gli errori del proprio paese. Il processo ai Chicago 7, in sostanza, è un'opera retorica nell'accezione più alta del termine: un'opera in cui, ancora una volta, la vivacità, l'enfasi e la ricchezza tipiche dei dialoghi di Sorkin si fanno assi portanti di un racconto che si propone come divulgazione e riflessione storica, ma anche come apologia dello spirito più puro di un paese alle prese con un impietoso esame di coscienza. Ieri come oggi.

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