Creata per il canale via cavo Showtime, la serie ha ottenuto grandi risultati già dalla messa in onda del pilot, che è stato in assoluto il più seguito del network negli ultimi otto anni; un successo che lascia ben sperare in vista della scrittura della seconda stagione.
Osama Bin Laden è morto eppure il suo fantasma continua ad aleggiare sul mondo e, a giudicare dalla consistenza di una serie televisiva come Homeland, a ispirare autori e sceneggiatori che cercano nuovi modi (e vecchie paure) per contestualizzare un tema classico nel post 11 settembre, ovvero il timore di un nuovo terribile attacco terroristico. In questo caso portato a termine proprio da un soldato americano, Nicholas Brody, liberato in maniera sospetta dopo otto lunghissimi anni di prigionia e forse assoldato da una letale organizzazione terroristica. Sulle tracce di questo uomo, tornato sul suolo natìo da eroe, si lancia Carrie Mathison, un'agente della CIA preallertata da una soffiata ricevuta durante una missione fallita. La donna cerca ostinatamente la verità, lottando in primis contro i suoi superiori che l'accusano di essere una paranoica. Sola e senza aiuto decide di indagare per conto suo.
Creata per il canale via cavo Showtime da Howard Gordon, Alex Gansa e Gideon Raff, quest'ultimo autore della serie serie israeliana che l'ha ispirata, Homeland ha ottenuto grandi risultati già dalla messa in onda del pilot, che è stato in assoluto il più seguito del network negli ultimi otto anni; un successo che lascia ben sperare in vista della scrittura della nuova stagione.
Tra gli elementi a suo favore c'è un'ambientazione di chirurgica freddezza che si muove tra la base militare di Langley in Virginia, Washington DC, a pochi passi dalla Casa Bianca, e i deserti dell'Iraq, dove la storia inizia. Poi c'è l'ottima intepretazione da parte dei due protagonisti Claire Danes (Temple Grandin - Una donna straordinaria) e Damian Lewis, l'agente dell'antiterrorismo e il pericoloso potenziale assassino. L'intuizione non è certamente innovativa, tanti casi di cronaca hanno presentato storie di cittadini statunitensi che avevano deciso di collaborare con organizzazioni terroristiche, ma trasportando l'azione nel mondo dell'elite militare americana, quei Marines che hanno da sempre arricchito l'immaginario cinematografico hollywoodiano, il punto di vista cambia notevolmente, fornendo allo spettatore qualche spunto in più su cui riflettere; la tensione si gioca tutta sulle motivazioni che possono spingere un soldato, naturalmente portato a difendere la patria, a tradire il suo popolo. Non è un caso che lui ripeta ossessivamente 'Sono un americano' quando viene liberato dai 'colleghi' della Delta Force. Chi è davvero Nicholas Brody? E' la persona controllata che si vede nelle interviste televisive? Cosa è successo durante la sua prigionia in Iraq? Lo capiremo volta per volta anche se già nel pilot diretto da Michael Cuesta, diventato ora produttore esecutivo, riusciamo ad avere un assaggio consistente di quel periodo, con brevi ma intensi flashback che riguardano la vita e le scelte di Nicholas Brody.
Caduto vittima di un'imboscata in Iraq assieme ad un amico e commilitone, viene catturato dall'esercito del famigerato Abu Nazir, corrispettivo televisivo di Osama Bin Laden e torturato nelle maniere più spietate. Un trattamento feroce e sanguinario che diventa quasi un lavaggio del cervello per il soldato Brody, giorno dopo giorno, ora dopo ora, desideroso di porre fine a quella tragedia, a costo di rinnegare l'amore patrio e, quel che è peggio, l'amicizia per il suo compagno di sventure. Considerato (forse giustamente) un debole, Brody diventa l'oggetto delle sistematiche attenzioni di Abu Nazir che in lui vede il tramite ideale per tornare sul suolo americano e organizzare un nuovo e potentissimo agguato. La rete di comunicazioni di questo sceicco del terrore è peraltro ben radicata negli Stati Uniti dove alloggia indisturbato uno dei suoi fiancheggiatori, il principe Farid Bin Abbud, guardato a vista da un altro agente della CIA, Lynn Reed (Brianna Brown), entrata a far parte dell'harem dell'emiro. A tentare di scalfire questo muro di mezze verità c'è Carrie Mathison, analista astuta e preparata, devota al lavoro e al junk food, donna dalla classe innata, ma profondamente fragile, preda di una subdola malattia psichiatrica che cura con pasticche di clozapina, un potente antipsicotico.
Dal salotto della sua casa, luogo insolito per effettuare un'indagine, l'agente scruta giorno e notte le immagini che arrivano da casa Brody, disseminata di microcamere e cimici dal fidato collaboratore di Carrie, Virgil. Una sorta di reality show continuo, così lo definisce lei, che di volta in volta rivela segreti personali pruriginosi, come l'adulterio della bella moglie di Brody, Morena Baccarin, che creduto morto il marito si consola tra le braccia del di lui migliore amico; o comportamenti strani da parte del militare che spesso si guarda attonito allo specchio o lava continuamente le mani. Una cosa, però, Carrie non riesce a vedere, la più importante: quello che durante una normalissima mattina succede nel garage della villetta, l'unico posto in cui le telecamere di Virgil non sono arrivate. Un twist che mantiene il suo forte impatto nella semplicità del gesto rappresentato: una preghiera rivolta verso La Mecca da parte del soldato Brody. Il presupposto fondamentale attorno a cui ruota la storia è appunto il tradimento dell'eroe, e tradimento vuol dire essenzialmente passare dalla parte del nemico, diventare un terrorista e, più genericamente, diventare un arabo. Così, imprigionato nella fasulla immagine del paladino senza macchia, tornato in patria per diventare un esempio per il suo popolo, Brody ingaggia un duello a distanza con una donna che fa di tutto per smascherarlo e che sa leggere alla perfezione ogni gesto del suo avversario. Questa corsa contro il tempo, verso una rivelazione chiara solo allo spettatore, tiene davvero con il fiato sospeso e rappresenta la bellezza e l'interesse di una serie che per ritmo del racconto e forza delle immagini non lascia indifferenti.