Serena Grandi è stata condannata a due anni e due mesi per il fallimento del suo ristorante La locanda di Miranda: i giudici hanno riscontrato delle irregolarità nella tenuta dei libri contabili. L'attrice aveva chiuso il locale appena due anni dopo la sua inaugurazione, nel 2013.

Serena Grandi aveva aperto il ristorante nel 2013 sull'onda del successo de La grande bellezza, il film di Paolo Sorrentino vincitore del premio Oscar a cui l'attrice aveva partecipato. Serena aveva scelto come nome del ristorante La locanda di Miranda, dedicandolo al personaggio che nel 1985 la fece conoscere al grande pubblico con il film Miranda di Tinto Brass. Il ristorante ha chiuso dopo due anni di attività lasciandosi dietro una serie di pendenze giudiziarie che oggi sono sfociate con la condanna dell'attrice bolognese.

Serena Grandi è stata condannata per il fallimento della società 'Donna serena srl' che gestiva il locale. La sentenza arriva alla fine di un'indagine avviata dalla Procura di Rimini dopo che i dipendenti del ristorante avevano denunciato la mancanza del pagamento degli stipendi da parte della proprietà. L'attrice è stata accusata di non aver tenuto le scritture contabili e la documentazione obbligatoria per legge relativa alla gestione del ristorante. Secondo i giudici che hanno seguito l'indagine, la Grandi avrebbe fatto sparire anche alcuni beni strumentali del ristorante, sottraendoli alla gestione fallimentare. In seguito alla condanna la Grandi è stata inibita all'esercizio di un'impresa commerciale e di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per tre anni.
"Condannata per 4 padelle", ha detto Serena Grandi ai giornali riminesi a cui ha espresso la voglia di lasciare per sempre la città della riviera romagnola a cui ha legato i suoi successi cinematografici. L'attrice aveva già avuto problemi con la giustizia per un'indagine sul suo conto per possesso di droga. Nel 2003 fu arrestata per detenzione e spaccio di cocaina ma fu prosciolta dalla magistratura prima ancora dell'inizio del processo. La Grandi confessò che l'acquisto di stupefacenti era destinato a uso personale.