Al Locarno Film Festival, Jackie Chan non si è limitato a ricevere il Career Leopard Award: ha offerto un viaggio appassionante tra aneddoti, confessioni e riflessioni sul cinema. Dal ricordo di Bruce Lee alla critica ai grandi studi, Chan si è raccontato con umorismo, onestà e un pizzico di malinconia, rivelando anche il suo più grande sogno: essere il Robert De Niro asiatico.
Dalla spalla di Bruce Lee al "Robert De Niro asiatico"
Davanti a un pubblico in visibilio, Jackie Chan ha rievocato i primi passi della sua carriera, quando da giovane stuntman si trovò sul set di "Fist of Fury" accanto a Bruce Lee. "Bruce Lee mi toccò la spalla e disse "bravo"", ha ricordato sorridendo, un momento che per lui valeva più di un premio. Lo stesso Bruce Lee lo accompagnò persino in una sala da bowling, dove Chan guadagnò rispetto e ammirazione tra i presenti.

Dopo la morte del maestro, gli venne chiesto di reinterpretare "Fist of Fury". Ma l'esperienza, racconta, fu un disastro: "Sceneggiatura sbagliata, personaggio sbagliato... il film non incassò nulla". I produttori volevano trasformarlo nel nuovo Lee, arrivando a stampare sui manifesti "il nuovo Bruce Lee" in caratteri enormi e "Jackie Chan" in minuscoli. "Il regista voleva che facessi tutto come Bruce Lee. Ma io non sono Bruce Lee", ha ribadito.
Da lì, la decisione di reinventarsi costantemente, persino imparando a cantare per evitare che ogni intervista televisiva si trasformasse in una dimostrazione di arti marziali.
L'ambizione di essere un attore "che sa combattere"
Con l'avanzare della carriera, Chan sentì il bisogno di scrollarsi di dosso l'etichetta di "star d'azione". "Volevo essere un Robert De Niro asiatico", ha confidato, lamentando che ogni sua presentazione pubblica veniva accompagnata da un gesto di arti marziali. Il riconoscimento come "attore che può combattere" è arrivato solo negli ultimi anni, un traguardo che, secondo lui, giustifica il premio ricevuto a Locarno.

Sul set di The Karate Kid, cedette le scene di lotta alla nuova generazione, abbracciando il ruolo di maestro: "Ero diventato un maestro". Pur rendendo le acrobazie spettacolari e fluide, ha ammesso di temere ogni stunt: "Non sono Superman. Ho paura ogni volta".
Oggi, a 71 anni e con 64 anni di carriera alle spalle, continua a combattere, ma la sua vera battaglia è contro un'industria dominata dal profitto: "Molti grandi studi non sono più filmmaker, ma uomini d'affari. Oggi è molto difficile fare un buon film".
A Locarno ha anche presentato due pietre miliari della sua filmografia, Project A e Police Story, ribadendo la sua doppia anima di attore e regista. Per il direttore artistico Giona A. Nazzaro, Jackie Chan non è solo un'icona del cinema asiatico, ma una figura che ha riscritto le regole di Hollywood, fondendo Oriente e Occidente in un linguaggio d'azione unico e inimitabile.