Recensione La regola del silenzio (2012)

La catena di segreti e misteriose relazioni che lega i vari personaggi tiene viva la suspence catturando lo spettatore con svolte inaspettate, fughe nei boschi e colpi di scena, ma non sembra essere questo l'aspetto su cui il regista punta maggiormente.

Too old to change the world

Per la sua prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia, Robert Redford non abbandona il cinema d'impegno civile e politico che l'ha accompagnato, prima da interprete e poi da regista, lungo l'arco di una lunghissima carriera. La regola del silenzio, pellicola all star presentata Fuori Concorso al Lido, è un intrigante thriller on the road che mette in tavola molteplici spunti di discussione rispecchiando una volta di più la visione del mondo redfordiana. A settantasei anni, con all'attivo una serie di capolavori che hanno fatto la storia del grande cinema classico americano e un Oscar conquistato per la regia dello struggente Gente comune, il divo biondo amante dei cavalli, dei cowboy e della natura, ha ancora voglia di tener d'occhio la situazione politica passata e presente. L'occasione per ribadire alcuni concetti liberal di cui da tempo si fa promotore è il romanzo di Ron Jacobs The Comany You Keep, liberamente adattato da Lem Dobbs. Redford e gli altri protagonisti della pellicola fanno parte di un gruppo terroristico radicale attivo negli anni '70, i Weather Underground, impegnato a sostenere la protesta di studenti e hippie contro la guerra in Vietnam, il razzismo il non rispetto dei diritti umani e la presa di potere delle corporation. Dopo una rapina in cui ci è scappato il morto, gli Weathermen si sono dati alla macchia o si sono ricostruiti una vita sotto falsa identità, il tutto finché l'FBI non rintraccia e arresta uno dei membri, causando la riapertura dell'indagine.


Il sostrato ideologico de La regola del silenzio ruota attorno a una questione essenziale. Che ne è stato dei grandi ideali che hanno animato la gioventù sessantottina? E' possibile proseguire la lotta nella società odierna? Apparentemente no. Nel film diretto da Redford la nuova generazione è rappresentata da individui arrivisti o confusi. Shia LaBeouf interpreta un brillante reporter pronto a tutto per ottenere uno scoop mentre la biondissima Brit Marling, che appare solo nella seconda parte del thriller, ma subito acquista un peso fondamentale nella vicenda, racconta di essere passata da una facoltà all'altra senza aver ben chiaro il suo futuro. Quanto ai vecchi leoni, hanno tutti gettato la spugna per motivi personali. Jim Grant/ Nick Sloane (Reford) è un vedovo con una figlia da crescere, Susan Sarandon (la prima dei membri dei Weather ad essere arrestata) di figli da proteggere ne ha ben due e gli altri (Nick Nolte, Richard Jenkins) hanno delle attività commerciali da portare avanti. L'unica combattente indomita, incapace di arrendersi al sistema, è la volitiva Mimi, interpretata dalla grande Julie Christie. La catena di segreti e misteriose relazioni che lega i vari personaggi tiene viva la suspence catturando lo spettatore con svolte inaspettate, fughe nei boschi e colpi di scena, ma non sembra essere questo l'aspetto su cui il regista punta maggiormente.

Il ritmo narrativo è tutto sommato lento. Le poche scene di azione vera e propria presenti nel film mostrano tutti i limiti fisici del personaggio interpretato da Redford, un avvocato che, dopo trent'anni di vita borghese, è costretto a improvvisarsi latitante in fuga. Non è lì che sta il cuore del film, ma nei colloqui densi di senso che mettono a confronto la generazione passata e la presente. In tal senso il personaggio di La Beouf diventa fondamentale perché si trasforma in veicolo (involontario) del vero senso del film. E' a lui che a inizio pellicola il personaggio di Redford si rivolge commentando che "in altri tempi quelli svegli come te avrebbero aderito al movimento dei Weather Underground" ed è ancora lui, nella parte finale, a imparare a proprie spese che, una volta venuto a conoscenza di certi segreti, dovrà decidere come usarli comprendendo per la prima volta il significato del concetto di responsabilità. La questione morale legata alla rinuncia alla lotta e all'opposizione al sistema diventa una questione privata, legata alle coscienze della vecchia guardia e ai giovani su cui le loro decisioni ricadranno. Nel bel colloquio tra Susan Sarandon e Shia LaBeouf, posto all'inizio del film, trapelano già le ragioni private che hanno spinto il gruppo all'abbandono dell'attivismo politico. La dimensione familiare ha la meglio sulle ideologie politiche. A guidare le scelte degli uomini è, in primis, l'amore. Possibile dunque che l'idealista Redford, arrivato nell'età della saggezza, abbia rinunciato a cambiare il mondo? L'apparenza non inganni. Come scriveva Che Guevara "il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d'amore". Per Robert Redford la lotta, seppur in forma diversa dal passato, prosegue.

Movieplayer.it

4.0/5