La ricerca della paternità
I Nonomiya sono una famiglia benestante giapponese: lui, Ryota, è un uomo ambizioso che lavora sodo per imporsi in ambito lavorativo, lei, Midori, si impegna nella cura del figlio Keita, stimolato a primeggiare in ogni sua attività, a lavorare sodo oggi per non dover inseguire dopo. Keita però non sembra stare al passo delle esigenti richieste del padre: studia piano, ma non è particolarmente bravo, è gentile e dolce, ma soprattutto non condivide l'aspra nota di competizione che muove la vita del genitore.
Ma c'è un motivo per queste differenze, cruccio di Ryota.
Un giorno i Nonomiya vengono convocati dall'ospedale in cui Midori ha partorito cinque anni prima, che annuncia loro una drammatica realtà: al momento della nascita il loro bambino è stato scambiato con quello di un'altra coppia, i Saiki, molti diversi da loro: semplici, alla mano, gestori di un negozio con tre figli con cui condividono tempi e spazi.
Le due famiglie si trovano quindi costrette ad entrare in contatto nonostante le differenze che li separano, ma soprattutto a dover ragionare insieme per stabilire cosa sia meglio fare e prendere l'impossibile decisione che riguarda il futuro loro e dei loro bambini. Come si affronta una situazione del genere? Come si sceglie tra il figlio che si è cresciuto per anni ed il proprio, sangue del proprio sangue, che sta vivendo con degli estranei? Qual è la scelta giusta, se una esiste?
Su questa situazione, non dissimile da quella della serie ABC Family Switched at Birth, il cinquantenne regista giapponese Hirokazu Koreeda ha costruito il suo nuovo film Like Father, Like Son in concorso alla 66ma edizione del Festival di Cannes. E lo fa concentrandosi sulla famiglia dei Nonomiya ed in particolare sulla figura del padre di famiglia Ryota, sull'evoluzione del suo personaggio ed il modo in cui intende il suo ruolo di padre, un'evoluzione resa meglio dal titolo originale Soshite chichi ni naru che sottolinea il diventare padre rispetto a quello internazionale Like Father, like Son.
Masaharu Fukuyama dà vita con misurata emotività al personaggio di Ryota, espimendo i dubbi, il dramma e le delusioni della situazione in cui si trova, la prima in cui i soldi guadagnati con lavoro e ambizione non possono aiutarlo. Attraverso il suo protagonista ed il suo tormento, Koreeda mette in scena anche ulteriori riflessioni su cosa voglia dire esattamente essere un padre, se dipenda soprattutto dal DNA o se sia il tempo dedicato ad un figlio a renderci tali. Anche in questo caso, l'autore pone domande, ma non offre risposte, non una univoca ad ogni modo, forse perchè questa unica risposta non può esistere, nascosta com'è tra le maglie della soggettività. Quello che offre è il percorso di un individuo, un unico caso, completato dalle reazioni della moglie e dell'altra famiglia coinvolta nello scambio e da quello dei relativi bambini.
Koreeda racconta con misura e tocco tenero, con atmosfere rarefatte e sguardo discreto, secondo lo stile di un certo cinema giapponese che di queste caratteristiche vive. Si avvale di immagini delicate, di dettagli che riescono a rendere la storia viva e vibrante, di lenti movimenti di camera, di musica eterea, e costruisce un film che sa emozionare e colpire nel profondo non solo chi è genitore e può empatizzare più facilmente con il dramma dei protagonisti, ma anche chi non lo è, dicendo qualcosa di importante anche sull'essere figli.
Movieplayer.it
4.0/5