L'isola di Arturo
Secondo molti attori non c'è arte più complessa del far sorridere il pubblico. Ma ancora più difficile è riuscire a utilizzare un tono ironico e leggero pur trattando un tema ampiamente diffuso e sofferto come la mafia. Come è possibile, dunque, aver successo nell'impresa senza offendere la sensibilità dell'opinione pubblica rimanendo fedeli allo stile scelto? Bene, per prima cosa si dovrebbe conoscere approfonditamente il soggetto trattato. Altrettanto necessario, poi, è poter contare su una sensibilità particolare grazie alla quale modulare toni e atmosfere, cogliendo la poesia e l'umorismo anche dove, a prima vista, proprio non sembrerebbe esserci. Infine, è d'obbligo avere delle doti narrative, rimanendo fedeli al proprio stile senza timore di essere diversi ma aggrappandosi alle proprie caratteristiche per dare vita ad un percorso molto personale. Così, seguendo queste "regole" senza omettere nulla, Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, firma il suo primo lungometraggio La mafia uccide solo d'estate. Abituato ormai da alcuni anni ad essere Il testimone di curiosità e indagini svolte con la naturalezza e l'ingenuità dell'uomo comune, per l'occasione il neo regista e, per l'occasione attore, fa valere le sue origini palermitane creando uno degli esordi più interessanti degli ultimi tempi. Perché quando un racconto ha l'intelligenza di attrarti con il fascino del sorriso per poi portarti con naturalezza all'interno di un'emozione e di una riflessione inaspettata, non può che rappresentare un successo capace di unire la qualità artistica ad un probabile favore al botteghino. E, contrariamente a quanto si possa credere, non è detto che i due elementi vadano di pari passo.
Certo, il fatto che Pif sia un personaggio di MTV e, quindi, riconoscibile dal pubblico più giovane, ha il suo valore, ma rappresenta solo un punto di partenza. A fare il resto è senza dubbio un film capace di unire racconto personale, evoluzione storica di un paese e pene "d'amor perduto" di un ragazzino utilizzando toni diversi che, con naturalezza, si fondono uno nell'altro riuscendo a riprodurre la varietà della vita. E tutto questo per raccontare vent'anni di volontaria e involontaria concussione con la mafia da parte di un paese intero. Guida d'eccezione all'interno di questo viaggio nel tempo è il piccolo Arturo che, fin dal suo concepimento, ha avuto, suo malgrado, a che fare con i movimenti poco leciti dei boss e dei loro affiliati. Figlio di una famiglia piccolo borghese che non sembra farsi troppe domande su chi governa veramente Palermo, vive un'infanzia all'insegna del suo amore impossibile per la bionda Flora e di una inaspettata venerazione per Giulio Andreotti. Ma anche i miti più solidi sono destinati a cadere o, quanto meno, ad essere sostituiti. Così, dopo aver vinto il primo premio ad una festa scolastica per essersi mascherato da Presidente del Consiglio comprende, grazie al suo incontro con il Generale Dalla Chiesa, che Andreotti non rappresenta una "fonte" poi tanto attendibile. A quel punto è solo questione di tempo prima che l'impacciato Arturo cresca, riuscendo a conquistare finalmente i favori della sua Flora e, come una città intera, non accetti più di credere che la mafia colpisca solo d'estate. In questo modo, con tocchi delicati Pif presenta un viaggio evolutivo in cui la perdita dell'innocenza dei singoli, come di una società intera, non ha necessariamente il sapore amaro della sconfitta nemmeno difronte agli attentati di Falcone e Borsellino. Per quell'occasione, come nell'offrire la sua personale immagine di Dalla Chiesa, l'ex Iena utilizza immagini di repertorio lasciandogli esprimere la loro forza emotiva. In questo modo, senza troppe manomissioni artistiche, la mafia e le sue vittime contribuiscono a scrivere una sceneggiatura multiforme in cui il sorriso si fonde alla commozione con una velocità che, fortunatamente, non lascia il tempo di riflettere ne di razionalizzare. In questo modo Pif dimostra di essere molto più di un testimone mettendo in gioco se stesso e le lezioni imparate amando e crescendo in una città come Palermo. Perché più che proteggersi attraverso una silenziosa accettazione della malvagità, qui è molto più importante imparare a riconoscere il male e a chiamarlo con il suo nome.
Movieplayer.it
4.0/5