Morte accidentale di una democrazia
Ci sono voluti molti anni per girare un film su Piazza Fontana. Un tempo che è servito solo a identificare i colpevoli, ma non a punirli; una distanza necessaria anche per ripulire il pensiero da certi velenosi ragionamenti frutto di una stagione politica e culturale drogata dagli eccessi. Così il sessantaduenne Marco Tullio Giordana, ragazzo del '68, autore da sempre attratto dai grandi e piccoli movimenti della Storia, si è imbarcato in un'impresa solo apparentemente impossibile, raccontare la strage di Piazza Fontana, per permettere a chi non c'era di capire un po' di più e a chi invece era lì di vedere meglio quello che è stato coperto da bugie e depistaggi. Il 12 dicembre del 1969 una bomba (forse due con differenti esplosivi, come sostiene l'ultima tesi dello scrittore Paolo Cucchiarelli) esplode alla Banca Nazionale dell'Agricoltura a Milano. 17 persone muoiono e 88 restano ferite, alcune in maniera molto grave. La prima pista battuta dagli inquirenti è quella degli anarchici, con l'arresto di Pietro Valpreda, poi scagionato nel 1979, e il fermo di Giuseppe Pinelli, morto in circostanze misteriose il 15 dicembre cadendo dalla finestra della questura dove era stato interrogato per tre giorni. Accusato ingiustamente da Lotta Continua di essere il diretto responsabile dell'accaduto, il commissario Luigi Calabresi continua le indagini anche alla luce di nuove rivelazioni che arrivano dal Veneto. Grazie alle dichiarazioni di Guido Lorenzon, il magistrato Giancarlo Stiz scopre il ruolo attivo di alcuni neofascisti nell'attentato. Sono uomini che fanno capo all'editore padovano Giovanni Ventura e all'avvocato Franco Freda, entrambi esponenti di Ordine Nuovo. E' il 1972, anno in cui il commissario Calabresi, dopo le indagini sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli e quella su un traffico internazionale di armi che coinvolge gruppi di estrema destra e servizi segreti al fine di bloccare un'ipotetica invasione sovietica, viene freddato a pochi passi da casa sua da un commando armato. Ed è anche l'immagine conclusiva dell'opera di Giordana, che giustamente non segue il penoso iter giudiziario seguito alla strage, un percorso che trova il suo epilogo solamente nel 2005, con la conferma della responsabilità di Freda e Ventura, non più processabili perché già assolti per il reato di strage con sentenza passata in giudicato.
Romanzo di una strage è un film sorprendentemente misurato, una pellicola rigorosa e chiara che riduce al minimo gli elementi spettacolari per puntare le sue carte su una scansione del racconto che non conosce sosta e che avvolge lo spettatore in un movimento continuo. Divisa in otto capitoli, la storia dell'eccidio che di fatto ha segnato l'inizio della stagione del terrorismo in Italia, con tappe successive come la strage di piazza della Loggia a Brescia, la bomba sull'Italicus, quella alla stazione di Bologna, e il rapimento di Moro, assume una vera forma di romanzo, in cui ogni pedina in campo, ogni voce, offre il personale punto di vista sulla complessa realtà dell'epoca; lo ieratico Aldo Moro, all'epoca ministro degli Esteri, che tentava un dialogo quasi impossibile con il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat; l'illuminato commissario Calabresi 'antagonista' di Giuseppe Pinelli, dignitoso e saldo nelle sue convinzioni di anarchico pacifista; i feroci terroristi neri, nuovi solo nel titolo, ma in realtà vecchi epigoni di padri brutali. Legati da un filo sottile, ma saldo come l'acciaio, i personaggi in campo, organizzati in coppie contrapposte contribuiscono a creare un mosaico da cui emerge un disegno nitido, fatto di lotte per il predominio politico, per la conquista del potere e dei privilegi che esso comporta, per l'affermazione di un'ideologia inumana. Se a mancare è la tridimensionalità dei singoli protagonisti, per forza di cose non del tutto approfonditi nella loro individualità, il quadro d'insieme non ne soffre anche grazie alla giusta scelta registica di Giordana di farsi quasi da parte per permettere alla storia di svelarsi sotto ai nostri occhi. Con un pudore che colpisce il cuore prima che gli occhi, la morte di Pinelli e quella di Calabresi, così come la deflagrazione nella banca, finiscono fuori quadro, in un territorio in cui si diventa testimoni attoniti di una tragedia insensata. E' davvero encomiabile allora il lavoro di Giordana, capace di condensare in pochi momenti l'ineluttabile dipanarsi degli eventi, quasi a voler togliere tutto il superfluo per far rimanere in superficie solo quello che conta realmente, ossia il tentativo cieco di alcuni uomini dello Stato di sotterrare ogni velleità democratica e insieme la lotta di 'poveri' uomini per non farsi schiacciare da quel meccanismo. Una sinfonia resa possibile da un gruppo di attori tutti perfetti nel loro ruolo, a partire da un contenuto Valerio Mastandrea, il commissario Calabresi, fino a Pierfrancesco Favino, eccellente nei panni di Giuseppe Pinelli, affiancato per l'occasione da una intensa e bravissima Michela Cescon, senza dimenticare il sofferto Aldo Moro di Fabrizio Gifuni e la forte interpretazione di Denis Fasolo e Giorgio Marchese, rispettivamente Giovanni Ventura e Franco Freda. In Romanzo di una strage manca forse il tocco visionario dell'artista che rilegge la realtà facendola brillare di luce nuova; in secondo piano finisce anche l'analisi profonda di cosa abbia portato a quella deriva violenta, figlia di una falsa idea di ribellione. C'è però la solidità di un racconto espresso in un'alta forma cinematografica e tanto basta per continuare a interrogarsi sugli snodi di un passato che pesa ancora sul nostro presente. E per trovare finalmente qualche risposta.
Movieplayer.it
3.0/5