Quattro anni di lavoro, diciotto troupe diverse sparse per il mondo e più di trecento ore di filmato: questi sono i numeri incredibili di La vita negli Oceani, la nuova avventura produttiva di Jacques Perrin (Il deserto dei tartari). In collaborazione con il regista Jacques Cluzaud e il direttore della fotografia Luciano Tovoli, l'attore francese già realizzatore de Il popolo migratore torna a ribadire il suo immenso amore per la natura attraverso un racconto poetico e selvaggio del mondo immerso e delle sue misteriose creature. Presentato in esclusiva il cinque giugno al Festival Cineambiente di Torino, il film si prepara a uscire in sala in 35 copie per dimostrare che alla natura non servono interpreti speciali o troppe spiegazioni per diventare protagonista assoluta della propria storia.
Signor Perrin a cinquant'anni da Le Monde su Silence di Cousteau molti registi si sono cimentati nel racconto sottomarino. In cosa differisce il suo La vita negli Oceani dai film che l'hanno preceduto? Jacques Perrin: L'elemento che lo caratterizza è il movimento. La bellezza della natura non può essere completamente rappresentata dalla staticità della fotografia, per questo motivo abbiamo cercato di seguire il ritmo di ogni creatura incontrata. Solo così ci sembrava possibile riproporre nel modo più realistico l'energia della vita. Certo, ottenere questo risultato non è stato facile. Abbiamo lavorato per molti anni e progettato macchinari che ci permettessero di seguire, ad esempio, la folle corsa dei delfini. Il film dimostra un principio semplicissimo, ossia che delle creature così incredibili non debbono essere rinchiuse in uno zoo o studiate in un museo, ma per toccare i loro misteri e lasciarsi emozionare da questi bisogna scendere tra di loro diventando animali tra gli animali.
Il film è uscito nelle sale di tutto il mondo più di un anno fa ottenendo delle buone reazioni sia da parte del pubblico che della critica. Come mai, invece, arriva con così grande ritardo proprio in Italia? Jacques Perrin: Per me era molto importante che La vita negli Oceani uscisse anche nel vostro paese e finalmente siamo riusciti nell'intento grazie all'intervento della Paco Pictures. Il fine di un film come questo è di difendere i territori selvaggi e, a oggi, non c'è un altro luogo più immenso dell'Oceano. Più che una presa di coscienza culturale, vorrei che il pubblico sentisse nel profondo del suo cuore cosa vuol dire minacciare il nostro mondo.In quali aree avete deciso di girare? Jacques Perrin: Abbiamo girato in sessanta paesi doversi, anche perché i pesci non conoscono barriere e confini. In questo modo abbiamo totalizzato più di 300 ore di filmato realizzate con la più alta qualità tecnica, poi armonizzate nel colore e nella luce dal direttore alla fotografia Luciano Tovoli. Indubbiamente si è stata un'avventura piuttosto costosa, quasi cinquantotto milioni di euro, ma abbiamo a nostra disposizione molti anni per colmare i debiti.
Signor Tovoli, quali difficoltà ha incontrato nel gestire e amalgamare il lavoro di diciotto troupe? Luciano Tovoli: Solitamente il cinema è visto come un'attività basata sulla collaborazione, nella realtà, invece, ognuno cerca di imporre la propria opinione. In questo caso, però, si è realizzato un vero e proprio lavoro di squadra dove ognuno è intervenuto con sensibilità e punti di vista diversi. Tutti hanno portato un contributo personale secondo le capacità professionali. Per questo nel nostro numeroso team avevamo tecnici esperti nelle riprese sottomarine, mentre altri erano particolarmente preparati per quelle in superficie. Per non parlare di chi ha filmato una tempesta spaventosa con più di cento nodi di vento.Parlando di elementi tecnici, quali innovazioni avete utilizzato? Luciano Tovoli: Tornando alla tempesta, ad esempio, abbiamo montato la macchina da presa su dei sistemi militari di stabilizzazione. Le riprese sono state effettuate da un elicottero che si è trovato a volare a un livello più basso delle onde per la maggior parte del tempo con condizioni di sicurezza al limite del consentito. Per quanto riguarda, invece, il lavoro in acqua sono state utilizzate delle macchine trainate con fibra ottica. Questo ci ha permesso di ottenere una panoramica immensa e di seguire con agilità' ogni movimento degli animali. La vita degli Oceani è stato realizzato con gli stessi identici principi di un film e con i mezzi economici di uno studio. Siamo arrivati anche a montare un dolly sul gommone pur di fotografare tutto nel migliore dei modi possibili. Il mio compito è stato quello di unificare ogni elemento in modo armonioso, mentre il mezzo ci ha consentito di raccontare in maniera nuova il tema del film.
Come avete evitato di spaventare gli animali? Ad esempio, come siete riusciti ad avvicinarvi ai grandi cetacei come le Orche senza disturbare la loro suscettibilità? Jacques Perrin: Innanzi tutto abbiamo adottato un sistema di respirazione con il riciclo dell'aria e quindi senza bolle. Nel caso delle balene, poi, bisogna considerare che sono dotate di due emisferi. Uno è sempre sveglio, mentre l'altro dorme. Il segreto è avvicinarsi alla parte meno vigile. Gli squali, invece, non hanno un gran cervello e confidano solo nella loro forza fisica, quindi, per evitare un attacco bisogna rimanere immobili. E non dico che sia semplice. Considerate, però, che il lavoro più lungo in progetti come questi non è tanto realizzare le riprese, quanto riuscire a farsi accettare dal branco. Una volta adottati, tutto è più semplice.