Dopo il discusso excursus storico di Baarìa, in cui Giuseppe Tornatore aveva provato a gettare il suo sguardo (con coraggio ma poco equilibrio) su un secolo di storia del nostro paese, arriva per il regista di Nuovo Cinema Paradiso una produzione di stampo europeo, molto diversa dalla sua ultima opera (ormai risalente al 2009). La migliore offerta richiama, per temi e atmosfere, il Tornatore de La sconosciuta, anche se il nuovo film è maggiormente centrato su un'atipica storia d'amore: quella tra un solitario battitore d'aste interpretato da Geoffrey Rush, e una misteriosa ragazza malata di agorafobia, col volto di Sylvia Hoeks, che non mette mai piede fuori dalla sua stanza sita nell'antica dimora di famiglia.
Il respiro internazionale dell'operazione è confermato dalle location (con esterni girati tra Trieste, Bolzano, Parma, Milano, Praga e Roma) e dall'ambientazione in una imprecisata città mitteleuropea, per un peculiare thriller psicologico che, senza omicidi o indagini, intriga e coinvolge.
Del film ha parlato il regista nella conferenza stampa odierna, insieme ai due protagonisti principali (il primo dei quali - Rush - in collegamento video dall'Inghilterra) e al maestro Ennio Morricone, anche qui autore della colonna sonora.
Nel film tornano alcuni elementi del suo cinema, tra cui i personaggi inclini all'isolamento, i temi della memoria, ma anche la riflessione sul cinema come finzione...
Giuseppe Tornatore: Trattandosi di una storia che riflette sulla realtà e sulla finzione, sui temi del vero e del falso, è chiaro che il cinema c'entra: ma non era quella l'intenzione del film. Per quanto riguarda gli altri temi, qui quello della memoria è forse presente meno che in passato, mentre ritroviamo in misura maggiore quello dell'ossessione per lo spazio (un po' come ne La leggenda del pianista sull'oceano). Comunque è inevitabile che alcuni temi tornino spesso nei film di un regista, a volte succede anche involontariamente.
Geoffrey Rush: Non ho pensato a lui in particolare. In realtà, ho detto anche a Giuseppe che io vedo il film come una conversazione tra le vecchia Europa e la nuova. Il mio personaggio rappresenta la vecchia Europa, è chiuso, fuori dal mondo, non sa comunicare; ma alla fine trova anche lui un barlume di speranza.
Che chiave di lettura si può dare al titolo? Giuseppe Tornatore: Ho frequentato per un po' il mondo delle aste, e mi ha colpito il fatto che a volte, quando si devono piazzare oggetti magari non di particolare valore, non c'è una base d'asta: quegli oggetti sono venduti davvero alla "migliore offerta", ovvero al buon cuore del pubblico. Ma l'espressione non ha un significato univoco: nelle gare d'appalto, per esempio, la migliore offerta è la più bassa. E allora mi sono chiesto: e nella vita? Quale può essere la migliore offerta che ognuno di noi può fare?
Come avete lavorato sul personaggio del protagonista?
Giuseppe Tornatore: Il personaggio era così già nel copione, noi ci siamo solo divertiti un po' ad aggiungere qualche particolare. Tra le cose più difficili, comunque, c'è stato il fargli fare tutto con i guanti.
Geoffrey Rush: E' stata una grande "offerta" quella di lavorare con Sergio. C'era una sceneggiatura grande, complessa, un po' come il testo delle piece teatrali: le scene delle aste, poi, ricordano molto un'ambientazione teatrale. Nelle scene più intime, invece, c'era il problema che spesso non avevo Sylvia davanti: ma lei è un'attrice divina, una che lascia che la macchina da presa le si avvicini. Io, al contrario, vado verso la macchina da presa.
Sylvia Hoeks: Abbiamo provato e riprovato. Per metà del film, in effetti, io sono solo una voce, ma devo lo stesso attirare il pubblico, incuriosirlo. Ci abbiamo lavorato molto, ma ci siamo anche divertiti: è stato molti intrigante interpretare una persona intrappolata nella propria vita, che a un certo punto permette a un uomo di entrarci.
Tornatore. come mai un'ambientazione così lontana da quella da lei preferita, ovvero quella siciliana? Giuseppe Tornatore: Io, quando dirigo, procedo sempre per fedeltà alla storia, anche nell'ambientazione. Questa storia in particolare, non avrebbe mai funzionato con un'ambientazione italiana. L'idea iniziale era girare l'intero film a Vienna, ma poi abbiamo deciso di ampliare il raggio d'azione includendo includendo anche altre città europee.
Morricone, lei lavora con Tornatore da anni, ed entra spesso nel processo produttivo dei suoi film. Come lavorate insieme?
Ennio Morricone: La lettura del copione è stata fondamentale, anche se già da prima avevo l'idea di un lavoro libero, basato in parte sull'improvvisazione. La lettura della sceneggiatura, però, mi ha spinto ad osare ancora di più. La scena in cui il protagonista è nel caveau con i quadri intorno a lui, ad esempio: leggerla mi ha dato un'idea precisa di come sarebbe dovuta essere, e mi ha permesso di dare a ognuno di quei volti una voce. In questo film, per la prima volta, ho usato quella che chiamo una "improvvisazione organizzata".
Rush, Tornatore ha detto che lei è un po' Marlon Brando, per la precisione con cui si approccia al suo lavoro, e un po' Marcello Mastroianni, per la simpatia. Lei, invece, che valutazione dà di lui come regista? Geoffrey Rush: Strano, questi paragoni li sento ora da voi, a me non ne ha mai parlato! Come regista, lui ha un concetto forte e viscerale di come dev'essere la storia. L'ho visto rifiutare delle location solo perché una porta era in un posto sbagliato... ero di fronte a una partitura complessa in cui ognuno degli elementi doveva suonare come voleva lui.
Preferisce questo personaggio o quello da lei interpretato ne Il discorso del re?
Non so, a volte mi piace fare ruoli completamente diversi da quelli fatti in passato. Qui, Giuseppe aveva scritto un personaggio classico, ma con ossessioni del tutto contemporanee. E' stato bello lavorare sulle scene mantenendo un livello di credibilità. E' stato un lavoro completamente diverso da quello fatto per Il discorso del re.
Rush, intorno ai protagonisti c'è una moltitudine di personaggi minori. Come ci si è rapportato? Geoffrey Rush: Come ci si rapporta al testo di una piece teatrale. La storia può essere vista a due livelli: il primo è quello, più basilare, del coinvolgimento del pubblico; il secondo è quello che si può rinvenire riguardando il film una seconda volta. Allora si scoprono conflitti che prima non si erano notati. Come nella vita.
Tornatore, da cosa dipende, secondo lei, il calo di affluenza nelle sale cinematografiche fatto registrare nell'ultimo anno? La colpa principale è della pirateria? Giuseppe Tornatore: Non saprei, a dire il vero non sono proprio uno specialista. Certo, la pirateria è il cancro del nostro mondo, ma questo ulteriore calo di spettatori forse va spiegato anche in altri modi. Evidentemente, non vale molto il luogo comune secondo cui i momenti di crisi economica aiutano il cinema. La situazione italiana, comunque, è condizionata dal vecchio vizio di chiudersi nel ritaglio espressivo dei singoli generi.
Il film è girato in digitale. E' stato doloroso dire addio alla pellicola? Giuseppe Tornatore: Sì, è stata una scelta dolorosa e molto meditata. Ma, se non l'avessi fatta oggi, sarei stato comunque costretto a farla in seguito: ormai, la pellicola difficilmente può offrire le stesse capacità espressive offerte dal digitale. Comunque, non mi sono pentito neanche per un attimo della mia scelta, e se dovessi tornare indietro la rifarei senz'altro.