Zombi, alieni e personal computer
Non c'è più alcun dubbio: i morti viventi sono davvero tornati. Accantonati dalla produzione cinematografica per numerosi anni, è stato sufficiente l'ottimo remake americano degli zombi romeriani, L'alba dei morti viventi , insieme a due produzioni inglesi come 28 giorni dopo e Shaun of the Dead per riportare in auge un genere ricco di fascino e di appassionati. Il prolificare continuo di pellicole con al centro storie di morti viventi risorti (avremo una chiara percezione di questa tendenza produttiva nei prossimi due, tre anni) è stata la conseguenza di questa riscoperta che raggiungerà il suo culmine tra due settimane con l'arrivo del quarto episodio della saga di Gorge A. Romero, ideale fondatore, teorico e maestro del genere in questione. Nell'attesa, esce anche dalle nostre parti questo Undead, un piccolo ed interessante film australiano negli scaffali da un pò, dai pochissimi mezzi e le numerose sorprese.
Nel tranquillo villaggio di pescatori di Berkeley, la quieta se non apatica vita dei cittadini è improvvisamente turbata da strani fenomeni naturali. Sembra infatti che dal cielo piovano alcuni meteoriti distruttivi che bombardano la città causandone un' infezione sconosciuta in conseguenza della quale molti individui diventano degli zombi. Tra le prime a rendersi conto dello strano fenomeno c'è Rene: la reginetta di bellezza del villaggio che medita di scappare in una grande città dopo aver perso la fattoria di famiglia per pagare i debiti con la banca. Trovatasi in mezzo al sanguinoso delirio zombesco, ripiegherà in una casa sperduta dove ad accoglierla troverà il matto del villaggio, ed altri quattro sopravvissuti. La lotta per la sopravvivenza, sarà motivo di altre incredibili scoperte.
Fedele a tutti gli stereotipi situazionali e comportamentali del genere (l'assalto improvviso, il barricamento in casa, la fuga, il contrasto per la leadership), Undead è un bizzarro horror b-movie casalingo tinto di science fiction, privo di qualunque pretesa e sostenuto da uno scansonato gusto per l'intrattenimento che ricorda in qualche modo gli esordi di Peter Jackson, seppur i fratelli Peter e Michael Spiering non sembrino mai in grado di eguagliare il regista neozelandese per ciò che riguarda il suo naturale talento narrativo.
Quello che invece sorprende molto e in qualche modo condiziona il giudizio sul film è il percorso dei due cineasti e la loro grande padronanza dei moderni strumenti tecnici, trattandosi di una pellicola girata a loro spese in 16mm (pompata successivamente a 35mm) renderizzata e post-prodotta interamente sui personal computer di casa dei due co-registi in nove mesi. Realizzatori e produttori di cortometraggi dall'età di dieci anni, i due fratelli si sono laureati nel 1997 al Queensland College of Art e da allora si occupano con massima cognizione di cinema rivestendo insieme tutti i ruoli: dalla regia alla produzione, dalla scenografia alla fotografia. Tanto di cappello.