Se avete visto Blackhat, l'ottimo thriller dello scorso anno firmato Michael Mann, saprete che un hacker può essere usato anche per provocare danni reali e fisici, non solo sistemistici e informatici, che può essere sfruttato come un'arma, una risorsa, ma anche una minaccia che può avere derive terroristiche. Uno spunto interessante per un thriller e film di tensione, che da appassionante può diventare inquietante se si colgono le applicazione reali e concrete che tutto ciò può avere.
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E diventa, inquietante realtà, nel documentario portato dallo specialista premiato con l'Oscar Alex Gibney all'edizione 2016 del Festival di Berlino, un lavoro dal titolo Zero Days che insieme all'altro atteso documentario presentato nella stessa annata, Where to Invade Next di Michael Moore, non restituisce un'immagine positiva e speranzosa degli Stati Uniti. In modo diverso e in base alle loro diversissime caratteristiche, i due autori mettono in evidenza aspetti che non vanno degli USA, ma se Moore si rivolge soprattutto ai suoi compaesani, Gibney racconta anche a noi, forse in particolare a noi, un aspetto preoccupante dell'evoluzione che sta prendendo il modo di far guerra.
La minaccia informatica
Nel 2010 alcuni esperti di sistemi informatici fanno una scoperta che li preoccupa non poco: trovano un pericoloso virus capace di replicarsi da solo del quale faticano a ricostruire la provenienza. Fondendo alcune parole che estrapolano dal codice, gli danno il nome di Stuxnet e proseguendo le loro indagini trovare anche versioni successive e potenzialmente più letali. Ma qual è la funzione di questo virus? Quale il suo scopo? L'evidenza è di un attacco a strutture iraniane, ai controller di bombole di centrali nucleari per far sì che, funzionando in presenza di problemi non evidenziati dai computer, si danneggiassero. Paralizzando così una nazione intera. Si analizza il caso Stuxnet per poi ampliare il discorso e renderlo più generico e complesso, per poi tornare sul pericoloso malware evidenziando coloro responsabili di questa operazione che è, a tutti gli effetti, militare, risalendo ad un programma il cui nome in codice è Olympic Games apparentemente sviluppato dalle forze militari americani e i servizi segreti.
La ricerca della verità
Gibney costruisce il suo Zero Days sul caso Stuxnet, lo rende un esempio chiaro e preoccupante di quello che si può fare oggi in campo militare con risorse informatiche di questa natura. Un esempio che ci appare ancora più preoccupante considerando la poca informazione che abbiamo al riguardo e, soprattutto, quando l'autore ci spiega come le stesse armi possano essere usate anche dalle altri forze in gioco, dal nemico (e in parte, ci dimostra Gibney, lo sono già state). La ricostruzione parte da interviste e dichiarazioni, a persone addentro ai servizi segreti, informatici specializzati nel campo come quelli di Symantec e Kasperski, programmatori, con l'ausilio di una costruzione visiva attinente al mondo dei computer e basata su porzioni di codice che scorrono a schermo e sequenze di 0/1 che fanno un po' troppo Matrix. Avvalendosi di tutti questi strumenti, il regista mette in piedi un documentario che vuole costruire la tensione, incuriosire su un argomento di cui si sa poco e sviluppare il dibattito su una forma di cyberguerra che sembrerebbe rappresentare il futuro, e un po' anche il presente, dei conflitti internazionali.
Il futuro della guerra
Ci sembra evidente come si tratti di una discussione che in qualche modo va sviluppata a livello internazionale in un campo che sembra non avere una regolamentazione vera e propria. E lo conferma anche uno dei testimoni intervistati in Zero Days quando dice che "la norma al momento è di fare ciò per cui la si può far franca". È il merito principale del documentario che non si limita solo a raccontarci un aspetto oscuro dei nostri tempi, ma solleticare le nostre riflessioni al riguardo laddove la nostra mancanza di informazione e approfondimento ci costringeva a sorvolare. Uno scopo per il quale Alex Gibney è costretto ad alcune forzature, costruendo il film come un thriller per costruire la tensione e tener desta l'attenzione, perdendo però di mordente in una fase centrale il cui il discorso divaga troppo prima di tornare alla concretezza dell'esempio Olympic Games. Ma la forzatura principale riguarda una delle testimonianze raccolte, che pur visivamente deformata per renderla irriconoscibile, non è una figura reale a tutti gli effetti, ma un'attrice, presentataci come una responsabile dell'NSA ma in effetti usata per rappresentare un mix di dichiarazioni di varie fonti.
Forzature e trucchi a parte, Zero Days risulta efficace soprattutto nella costruzione del caso Stuxnet e nell'incuriosire e sollecitare le riflessioni politiche e filosofiche che comporta. Ed è già un punto di merito importante.