In un momento storico come quello che stiamo passivamente vivendo dal salotto di casa, quando la storia ci passa distrattamente sotto gli occhi attraverso servizi televisivi o schermate del PC che parlano di conflitti, corpi dispersi in mare e atrocità che ci sembrano lontane, impalpabili, è sempre l'arte lo strumento più immediato per permetterci di immedesimarci, conoscere o "sentire" le storie di persone che si sono ritrovate, improvvisamente, private della loro terra, espropriate dei propri confini. E il bellissimo Tangerines - Mandarini di Zaza Urushadze ci parla proprio di individui costretti ad abbandonare le loro case, a lottare per la propria causa imbracciando armi o, come due dei protagonisti, Ivo (Lembit Ulfsak) e Margus (Elmo Nüganen), a decidere di restare in quel fazzoletto di terra al quale si sentono profondamente legati, nonostante intorno a loro si combatta una guerra sempre più aspra. Candidato all'Oscar e al Golden Globe come Miglior Film Straniero del 2015, Tangerines, co-produzione esotone-giorgiana, parte dalla dimenticata e quasi sconosciuta Guerra geordano-abcasa, scoppiata nel 1991 quando le agitazioni in seno alle istanze indipendentiste dell'Abcasia di scontrarono con le resistenze e le rivendicazioni della Georgia, che portò alla migrazione coatta di un nutrito numero di estoni pacificamente insidiatosi, dalla fine del XIX secolo, in alcuni villaggi georgiani. Tangerines si concentra nel raccontare il conflitto a partire dal suo inasprirsi, nel 1992, attraverso due personaggi "dirimpettai" che per ragioni differenti sono rimasti in quelle zone abbandonate alla bombe e ai colpi di mitra. Ivo sempre indaffarato nel suo laboratorio/capanna di falegnameria dove costruisce cassette di legno da riempire con i mandarini degli alberi sui quali è costantemente arrampicato Margus, intento a raccoglierli per venderli e ricavarne il profitto necessario per tornare in Estonia.
Ma la storia decide di presentarsi prepotentemente alle loro porte quando due gruppi di soldati, ceceni e georgiani, si scontrano mortalmente, schiantandosi con i propri veicoli tra le loro abitazioni. Dal conflitto, nonostante le ferite riportate, si salvano Ahmed (Giorgi Nakashidze), mercenario al servizio della causa cecena, e Niko (Mikheil Meskhi), soldato georgiano. Due combattenti di opposte fazioni costretti a convivere sotto lo stesso tetto, tra ripetute e reciproche minacce ed una tensione smorzata da una sottile ironia, moderati dal paterno Ivo, figura centrale ed elemento indispensabile per permettere l'evoluzione della narrazione. Se la statuetta d'oro, nel 2015, andò al toccante viaggio esistenziale della giovane orfana novizia che scopre se stessa e il suo passato in Ida di Pawel Pawlikowski, Tangerines, dal canto suo merita tutte le nomination ed i riconoscimenti conquistati dal 2013, anno della sua realizzazione, ad oggi, per la sua capacità di prendere un tema, quello della guerra e della sua sterilità, così spesso rappresentato sul grande schermo per costruirgli intorno una storia forte, trascinante, commovente senza mai perdersi in sentimentalismi superflui, lasciando che sia tutto racchiuso negli sguardi dei suoi interpreti che lentamente mutano, svelano, raccontano.
"Il cinema è una fesseria"
Scritto, diretto e prodotto da Zaza Urushadze, Tangerines, si apre sulle note composte da Niaz Diasamidze, Leitmotiv sonoro che tornerà a più riprese nel corso della narrazione per legare le varie sequenze tra di loro senza mai farsi elemento invadente. Quella che ci viene presentata è una natura affascinante, carica di colori esaltati dalla fotografia di Rein Kotov, ma quasi spettrale se non fosse per il vapore emesso dalla stufetta della casa di Ivo, uno dei pochi indizi a tradire la dimensione di abbandono nella quale è avvolto il villaggio.
"Oggi è impossibile realizzare le riprese in Abcasia. Si tratta di un territorio considerato perso per la Georgia e tutti gli estoni che vivevano lì sono stati mandati via. Abbiamo girato in Guria, una zona vicinissima all'Abcasia e dalla natura molto simile quindi le immagini si avvicinano molto alla realtà" ci racconta il regista durante l'incontro organizzato alla Casa del Cinema per presentare il film. Il legame così radicato con quella terra che i due estoni sentono loro è il motore che dà vita ad un racconto interessato non tanto a descrivere il conflitto specifico e la sua genesi quanto, invece, il rapporto e le reazioni degli uomini alla guerra in generale come sottolinea lo stesso Urushadze: "Tangerines non riguarda solo un conflitto locale. È un film sulle persone è su come si confrontano con i conflitti bellici". I suoi protagonisti sono persone concrete, abituate alle ristrettezze e alle fatiche, pratiche, al punto che uno dei personaggi, in una delle tante piccole parentesi ironiche, definisce il cinema "una fesseria", qualcosa di finto, per sognatori o creduloni. Ma il regista, invece, conosce bene il potere dell'arte e proprio attraverso "una fesseria" ci fa entrare in empatia con la sua storia ed il suo messaggio, facendoci sentire vicini ad ognuno dei suoi personaggi che sentiamo capire, ognuno con le proprie idee e diversità.
La guerra degli agrumi
Lo scontro scaturito dalla Guerra geordano-abcasa si sposta, in Tangerines, dai villaggi sparsi sul territorio fino all'interno della casa di Ivo, ricostruendo il conflitto in uno spazio chiuso e mostrando, sequenza dopo sequenza, la sua inconsistenza ed assurdità per trasformarsi e trasformare i suoi stessi protagonisti, complice la figura dell'anziano uomo a fare da "mediatore" e degli alberi di mandarino ad unire quello che prima era diviso, emblema di un incanto che rimane intatto anche sotto le minacce delle bombe. "Non so dire come abbia reagito l'Abcasia perché ora lì non ci sono cinema. Non penso che il mio film possa risolvere il problema tra le due parti contrapposte ma nel mio piccolo credo porti un messaggio umanitario. Quello che scaturisce dalle varie proiezioni in giro per il mondo è proprio questo: un messaggio di pace" ha sottolineato il regista georgiano, convinto della potenza della fiducia, dell'importanza di un gesto altruista capace di spazzare via gli apparenti contrasti. Una pellicola tutta declinata al maschile, Tangerines.
Quattro uomini che fanno la guerra o la subiscono in un contesto privato della delicatezza, della fecondità e prosperità ravvisabili nel femminile, presenza sostituita solo dalla dolcezza dei metaforici mandarini e relegata nella bidimensionalità di uno scatto incorniciato su una mensola. "L'assenza di figure femminili aumenta la drammaticità del film. Non a caso uno dei personaggi s'innamora di una foto che ritrae la nipote di Ivo" conclude il regista.