Nell'ultimo anno abbiamo visto al cinema una sequela di attori e attrici che hanno scelto di passare (anche) dietro la macchina da presa. La lista è lunga. Paola Cortellesi, Micaela Ramazzotti, Michele Riondino, Alessandro Roia, giusto per citarne qualcuno. E alla lista si aggiunge anche Neri Marcorè, che affida il suo debutto da regista in una storia luminosa, che ci porta nell'Italia del boom economico. Una storia che parla di scelte, di consapevolezze, di paure, di fallimenti. Il tutto, tradotto sotto uno sguardo mite e sincero, garbato e raffinato, che sfrutta la metafora calcistica per trattare temi universali. Insomma, i classici temi in cui potersi riconoscere. Ecco allora Zamora (qui la nostra recensione), scritto da Marcorè insieme a Maurizio Careddu, Paola Mammini e ispirato al romanzo di Alessandro Rossi.
La storia dietro Zamora è quella di Walter, interpretato da Alberto Paradossi: licenziato dalla piccola azienda di provincia in cui lavora, viene assunto da una grande società milanese. Sono gli Anni Sessanta, e le possibilità non mancano. Ma sono anche gli anni della grande Inter, e quindi lo zelante proprietario dell'azienda obbliga i propri dipendenti a fare team building. Come? Organizzando partite settimanali di calcio. Walter però non sa nemmeno com'è fatto un pallone e, spacciandosi per navigato portiere, inizia ad allenarsi sotto lo sguardo di un ex-calciatore caduto in disgrazia. Nel cast del film, anche Marta Gastini, Anna Ferraioli Ravel, Giovanni Storti, Walter Leonardi, Antonio Catania.
Zamora: la nostra intervista a Neri Marcorè e Alberto Paradossi
Ma se "per essere portieri bisogna anche essere un po' folli", come viene detto in Zamora, anche per essere registi serve una buona dose di follia? "Bisogna prendersi delle responsabilità. A volte è importante. Come è importante scegliere le persone giuste con cui intraprendere un viaggio. Tutti sulla stessa barca. Persone a cui si vuol bene, persone che si stimano. Questa era la mia premessa di questo esordio cinematografica", dice Neri Marcorè nella nostra video intervista.
"Un po' di follia c'è, ma l'arte è anche questo: il lavoro artistico non ha senso se non esplora i fuori pista. Battere una strada conosciuta non ha molto senso. Sai già cosa ti aspetta, e mi piace rischiare e incuriosirmi. L'ho fatto con questa storia scritta da Roberto Perrone, nella quale ho trovato tanti elementi che volevo raccontare. È stata una bella esperienza personale, prima che lavorativa. E poi ho conosciuto Alberto Paradossi, un attore strepitoso".
Zamora, la recensione: l'esordio di Neri Marcorè? Garbo, umorismo e il calcio che spiega la vita
Il portiere, ruolo emblematico. Nel calcio e nella vita
Il calcio è la metafora perfetta per parlare di vita, ma perché lo sport al cinema riesce ad essere sempre così incisivo e funzionale? "Il cinema sportivo è epico. Ci sono delle imprese epiche. In Zamora c'è il calcio, e c'è il portiere. Uomo solo che può salvare la patria, o farla sprofondare nella disperazione", continua il regista. "C'è la dicotomia tra due estremi. Alcune storie sportive poi ti sembrano scritte dagli sceneggiatori. Quando ti ritrovi a vivere emozioni così forti, che ti portano da una parte all'altra, ti rendi conto che solo lo sport può regalare certe sensazioni".
Per Alberto Paradossi, invece, "Lo sport è fonte di immedesimazione. Se poi il personaggio è narrato bene, il pubblico vive con lui le emozioni, vivendo poi la paura di fallire. Il mio personaggio ha paura di fallire, ma può esaltarsi nel tentativo di uscire dalla dimensione. Questo è il punto chiave del cinema sportivo". Gli Anni Sessanta e il boom economico, il calcio dei sogni, il pallone di cuoio. Ma, ieri come allora, le aziende puntava a fare team building tra i dipendenti. "Walter non è un grande fan del team building, anzi si isola", prosegue l'attore. "Poi il suo datore di lavoro diventerà la sua fortuna: lo farà uscire fuori dal guscio, dimostrando istinto di sopravvivenza. Lo stesso che c'è nel calcio".