Il calcio continua a spiegare la vita. Un archetipo perfetto, nevralgico nella semplificazione dei concetti. Insegna la vita, ed è perfetto al cinema. Più in generale, gli sport movies sono un genere a parte che, spingendo su un certo tipo di immaginario, riescono a parlare trasversalmente al pubblico. In questo senso, Zamora, ottimo esordio alla regia di Neri Marcorè, sfata un mito: un vecchio luogo comune vorrebbe il calcio (o il folber, secondo la cadenza di Gianni Brera) impossibile da raccontare sul grande schermo. E Marcorè, che realizza un film dalle buone maniere, ma comunque spinto da un'atmosfera in qualche modo liberatoria e spregiudicata, riesce a puntellare al meglio le basi della scrittura, modellano secondo il suo modo di essere un'appassionata opera prima.
Piccola parentesi: Marcorè è solo l'ultimo tra gli attori italiani ad aver attraversato il Rubicone: attori e attrici che diventano registi, cercando (chissà?) la chiave giusta, il personaggio che covavano dentro, senza aver avuto il modo di tirarlo fuori. La lista è lunga (lo sappiamo, da Paola Cortellesi a Michele Riondino), e questo testimonia tra l'altro la buona salute del nostro cinema, che cerca - tramite i nomi più amati - di dare al pubblico nuove storie e nuove suggestioni. Con un punto di partenza, che ha a che fare proprio con Zamora: nell'esordio di Marcorè, per sua stessa ammissione, c'è una sfumatura biografica. Un ragazzo di provincia che viene catapultato in un grande città, ritrovandosi in una dimensione sconosciuta. Che fare? Buttarsi. Buttarsi come un portiere.
Zamora e l'Italia del Boom Economico
Liberamente ispirato all'omonimo libro di Roberto Perrone, e scritto da Marcorè insieme a Maurizio Careddu, Paola Mammini e Alessandro Rossi, Zamora ruota attorno a Walter Vismara (Alberto Paradossi), ragazzotto mite, ordinato, metodico. Ragioniere nell'Italia del boom economico, quando trovare un lavoro era un'impresa facile: bastava un diploma, e ti aggiudicavi l'ufficio più grande. Walter lavora a Vigevano come contabile di una piccola impresa. Quando però la fabbrica chiude, eccolo assunto in una grande azienda, nel centro di Milano. Dalla campagna alla metropoli. L'Italia che cambiava, tra timidezze e retaggi difficili da scalfire.
Walter è un pesce fuor d'acqua, anche perché il capo dell'azienda, cavalier Tosetto (Giovanni Storti), oltre essere ossessionato dall'Inter, è solito organizzare partite settimanali tra i dipendenti, ripartiti in Scapoli e Ammogliati. Peccato che Walter non conosca nulla di calcio, e sia ben poco avvezzo allo sport. Messo alle strette, si dichiara però portiere. In ufficio, tra battute e prese in giro, lo ribattezzano "Zamora" (campione spagnolo anni 30). Walter, che intanto ha stretto una tenera amicizia con la segretaria Ada (Marta Gastini), per uscire dal guscio, puntando alla rivincita con i colleghi, inizia ad allenarsi con Giorgio Cavazzoni (Marcorè), ex-portiere scalcinato finito in disgrazia.
Se il calcio spiega la vita (anche al cinema)
Ecco, come per altre opere prime, Zamora ci spinge a chiederci come proseguirà la carriera registica di Neri Marcorè. E il motivo è semplice: il film, nella sua tenerezza e nel suo garbo, riesce a parlare in modo chiaro al pubblico, senza vergognarsi della propria riservatezza o della propria attinenza cinematografica. Siamo molto curiosi, allora, di capire come l'attore, divenuto regista, affronti il cambio di prospettiva. Che poi, a guardar bene, è ciò che avviene nella struttura del film: il protagonista Walter affronta un cambio netto, che verrà accompagnato dal regista tramite uno sguardo soffice e partecipe, avvolgendolo da un'artigianalità che trasuda calore (traducendo la vitalità di un'Italia entusiasta e speranzosa).
Focali allora le scelte che riguardano la fotografia di Duccio Cimatti, i costumi d'epoca di Cristina Audiso, o la scenografia di Francesco Bocca. Un'insieme ben definito, che poi va a riflettersi sul linguaggio narrativo, cortese, romantico ed umoristico, tenuto in superficie con il giusto brio e le giuste cadenze. Su questa strada, il regista unisce i vari reparti per un film che diventa tanto il riflesso di un'epoca iconica (e ampiamente battuta dal cinema e dalle serie), quanto il riflesso del pensiero narrativo del proprio autore, prendendo per mano un protagonista in cui potersi ritrovare. Zamora - sfruttando al massimo l'epicità sportiva - diventa allora l'affresco di un'epoca passata che, però, guarda al futuro: niente nostalgia, bensì una propensione all'accettazione di sé, e alla consapevolezza che per vivere davvero bisogna buttarsi. Quale sia poi il lato giusto, è solo questione di fortuna. Sì, il calcio continua ad essere la metafora perfetta per spiegare la vita.
Conclusioni
L'esordio di Neri Marcorè? Come scritto nella nostra recensione, Zamora è un film garbato che riflette a pieno lo spirito del proprio autore. Una storia ambientata nel passato che, però, guarda in avanti. Una storia che prende le parti di chi non ha il coraggio di affrontare la vita, magari in cerca dell'occasione giusta per rilanciarsi, accettando i rischi. Se potrebbe mancare il guizzo decisivo, il film, nel sua raffinatezza e nella sua estetica, è poi sorretto da una metafora sportiva sempre efficace.
Perché ci piace
- Alberto Paradossi, e tutto il cast di supporto.
- La metafora calcio e vita.
- L'estetica e i colori.
- Un certo garbo.
Cosa non va
- Forse, gli manca il guizzo giusto. Ma ci sarà tempo per migliorare.