When They See Us, la recensione: su Netflix una sconvolgente storia vera di ingiustizia americana

La recensione di When They See Us, la miniserie Netflix basata sulla storia vera dei Central Park Five.

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When They See Us: una sequenza della serie

Con questa recensione di When They See Us ci addentriamo in un territorio impegnativo e a tratti scomodo, una serie tv che racconta una storia vera senza alcuna pietà, in tutti i sensi: la regista Ava DuVernay porta su Netflix la vicenda dei Central Park Five senza il filtro ironico e irriverente che avrebbe applicato qualcuno come Ryan Murphy, e per gli adepti del binge-watching c'è quasi un deterrente in termini di durata, dato che i quattro episodi si fanno progressivamente più lunghi (il primo dura 64 minuti, l'ultimo 88). Un crescendo che è però necessario per rendere tutte le sfaccettature e le complessità umane di un caso clamoroso di ingiustizia che andò avanti per anni ed è ancora fonte di controversia in certi ambiti statunitensi. La sensazione di crescendo si applica anche al percorso della regista, arrivata a una sorta di terzo atto di un progetto esteso su questioni socio-politiche americane, dopo aver portato sullo schermo le attività di Martin Luther King in Selma - La strada per la libertà, ed esplorato l'iniquità del sistema carcerario nel documentario 13th, di cui la nuova miniserie è una specie di prosecuzione spirituale.

Una storia vera: accadde a Central Park

Quello dei Central Park Five - quattro giovani afroamericani e uno ispanico - è un storia vera, accaduta la notte del 19 aprile 1989: Trisha Meili fu aggredita e violentata mentre faceva jogging nel parco, e rimase in coma per dodici giorni. La notte stessa furono arrestati i cinque giovani: Raymond Santana, Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam e Korey Wise. Grazie a confessioni che i diretti interessati dissero poi di aver fatto controvoglia, e nonostante l'analisi del DNA confermasse che nessuno dei cinque aveva violentato la donna, i Central Park Five furono giudicati colpevoli in due processi diversi, e condannati a pene carcerarie tra i cinque e i quindici anni (il massimo consentito per imputati minorenni). Il caso destò scalpore anche per la componente razziale del crimine (la vittima era bianca e i sospettati di colore), e fu particolarmente controverso l'intervento a mezzo stampa di Donald Trump, il quale chiese apertamente che lo stato di New York reintroducesse la pena di morte. Posizione che l'attuale presidente degli Stati Uniti mantiene ancora oggi, nonostante la svolta del 2002: Matias Reyes, già incarcerato per stupro e omicidio, ammise di aver violentato Meili, e l'analisi del DNA confermò la sua versione dei fatti. I cinque imputati di allora furono quindi del tutto scagionati, e passarono il resto del decennio a citare in giudizio gli accusatori, ottenendo un risarcimento pari a circa un milione di dollari a testa per ogni anno che erano stati in prigione.

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La verità, tutta la verità, nient'altro che la verità

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When They See Us: Marquis Rodriguez in una scena della serie

La vicenda dei cinque giovani è già stata portata sullo schermo dal noto documentarista Ken Burns, che nel 2012 portò al Festival di Cannes un'analisi dettagliata del caso intitolata The Central Park Five. Ava DuVernay applica lo stesso rigore a When They See Us: l'intento della miniserie è di presentare tutti i fatti, dall'arresto alla scoperta dell'identità del vero colpevole, un calvario per i cinque protagonisti che la regista presenta con la dovuta attenzione ai dettagli, per un totale di quasi cinque ore di materiale suddiviso in quattro capitoli. È chiaramente percepibile l'indignazione della cineasta, che mette in scena l'iniquità sociale e le falle del sistema giudiziario sottolineando i fatti ma senza spettacolarizzarli: qui non c'è posto per gli istrionismi della prima stagione di American Crime Story, che aveva dalla sua anche il fatto di potersi avvalere di una vicenda già di suo molto caricata e ai limiti del grottesco (l'unica concessione all'eccesso, in questa sede, poteva essere un cameo di Trump).

Non c'è spazio per l'ironia, a meno che non si sia a conoscenza dei trascorsi recenti di un membro del cast: fa un po' sorridere vedere Felicity Huffman, coinvolta nello scandalo delle ammissioni universitarie fraudolente, regalare l'ennesima performance sopraffina nei panni di Linda Fairstein, accusata di aver estorto le confessioni fasulle e successivamente legata, in modo negativo, ad altri casi molto discussi (in particolare quello di Harvey Weinstein, dove lei avrebbe contribuito alla soppressione di una delle accuse contro di lui).

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When They See Us: una scena del processo

La Huffman fa parte di un cast sterminato che alterna nel modo giusto volti noti e sconosciuti: gli attori riconoscibili interpretano principalmente i genitori e le persone legate all'apparato giudiziario, mentre i cinque - di cui quattro con due interpreti ciascuno, a causa della lunga durata del caso - sono volti nuovi o quasi, e questo loro essere semisconosciuti accentua ulteriormente la verosimiglianza del progetto nei suoi momenti più importanti, quando la macchina da presa segue i Central Park Five e ne mette in evidenza tutta l'umana sofferenza, senza perdere di vista il barlume di speranza finale. Noi soffriamo insieme a loro, attraversando le cinque ore della miniserie per arrivare a una catarsi che al contempo va contro e rinforza il principio del binge-watching: passare subito all'episodio successivo è quasi più un obbligo che una scelta, anche per questioni di durata dei singoli episodi, ma la visione tutta d'un fiato è praticamente obbligatoria per assorbire al meglio l'impatto emotivo e intellettuale di una storia vera che, pur essendo iniziate tre decenni fa, rimane tragicamente attuale.

Conclusioni

Arrivati al termine della nostra recensione di When They See Us, la sensazione dominante è quella di angoscia, a causa del fortissimo contenuto emotivo di una storia vera che, al netto di una risoluzione parzialmente felice, mette in evidenza tutti i punti deboli di un sistema giudiziario americano che ancora oggi prende di mira le minoranze e i più deboli. La legge non è uguale per tutti, e questa miniserie di Netflix ce lo ricorda con la giusta miscela di rabbia ed empatia.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
3.4/5

Perché ci piace

  • La ricostruzione storica è magistrale.
  • Tutto il cast è degno di nota, in particolare i giovani protagonisti.
  • La bruciante attualità di un caso del 1989 è eclatante.

Cosa non va

  • La durata degli episodi e l'argomento trattato potrebbero scoraggiare il binge-watching.