È difficile, vedendo questo Chestnut, non pensare che diversi elementi di esso, principalmente la storyline che vede protagonisti Jimmi Simpson e Ben Barnes, sia stata concepita inizialmente per l'episodio pilota; rispetto a quanto visto la scorsa settimana, con un episodio inaugurale che si apriva direttamente nel cuore della misteriosa percezione tra oblio e consapevolezza di Dolores, una delle AI del parco, l'arrivo dei due amici a Westworld - uno visitatore abituale, l'altro alla prima esperienza - è indubbiamente un'introduzione più canonica dell'ambientazione dello show.
Leggi anche: La recensione del primo episodio di Westworld, The Original
Un'introduzione più tradizionale, che non per questo sarebbe stata noiosa o inefficace; tuttavia, questa scelta strutturale funziona benissimo ed è una testimonianza della complessità dello show, perché averci presentato Westworld da dentro e non con una prospettiva esterna - non solo attraverso l'esperienza degli host, ma anche attraverso il "backstage" burocratico e tecnologico - ci rende ben più consapevoli e curiosi nell'osservare le procedure, i gesti, le scelte dei nuovi arrivati. Che, pur avendo relativamente poco spazio in un episodio che ha il suo centro emotivo e narrativo nel personaggio della meravigliosa Thandie Newton, Maeve, ci rivelano qualche dettaglio fecondo.
Cappello nero, cappello bianco
I personaggi di Simpson e Barns sono un omaggio a quelli di Richard Benjamin e James Brolin ne Il mondo dei robot, il film di Michael Crichton a cui il nostro show è liberamente ispirato; ma è evidente che, come nel caso dell'Uomo in nero di Ed Harris con il pistolero di Yul Brynner, le analogie si esauriscono molto presto. Quello che interessa a Nolan e Joy qui, è lo scarto nell'atteggiamento, nei confronti della visita al parco, in due personaggi che dovrebbero essere amici o per lo meno associati, che si esemplifica nella scelta di un dettaglio della loro mise da cowboy al momento dell'ingresso nel parco. Il cinico, gaudente, e crudele (almeno nei confronti degli host) Logan di Barnes sceglie un cappello nero; il personaggio di Simpson, William, più ingenuo, curioso e gentile, più interessato a osservare e conoscere gli host che a usarli a scopo di sesso e violenza, ne indossa uno bianco. Non solo un altro richiamo quindi a un codice cromatico come quelli che avevamo già notato nel pilot, ma anche un possibile riferimento al mondo degli hacker (blackhat sono detti gli hacker maligni, mentre i whitehat sono gli esperti informatici che si occupano di testare sistemi a fini protettivi)?
Non si va molto oltre questo dettaglio in Chestnut, ma è chiaro che i futuri sviluppi per quanto riguarda William sono legati a Dolores: di fatto prende il posto di Teddy/ James Marsden nella fatidica scena dell'incontro davanti al negozio di generi alimentari, mentre lei carica la bisaccia e il suo "eroe" le porge una lattina caduta in terra. Sul volto dell'uomo c'è interesse e fascinazione, ma cos'è, oltre all'ovvia sorpresa e delusione nel non vedere Teddy, che affiora sul volto della ragazza artificiale interpretata da Evan Rachel Wood? La quale, per inciso, pur avendo meno spazio in questo episodio rispetto al pilota, mette a frutto al meglio le scene che ha a disposizione per raccontare la bizzarra quest di Dolores, che sembra impegnata a crearsi punti di riferimento per non perdere la consapevolezza acquisita in caso di nuovi inevitabili reset.
Leggi anche: Le 25 nuove serie più attese della stagione 2016/2017
Gli incubi di Maeve
Nel frattempo, nel "mondo reale" Elsie, la giovane e rampante programmatrice interpretata da Shannon Woodward, esamina i problemi tecnici che hanno portato al decommissionamento di Peter Abernathy, il "padre" di Dolores, e comunica ai suoi superiori il timore che ci possa essere una sorta di contagio tra gli host; ma nessuno sembra dar peso alla cosa, poiché si attribuisce il guasto di Abernarthy al ritrovamento casuale di una fotografia proveniente dall'esterno. Gli host parlano continuamente tra loro, sottolinea in un'altra scena la Theresa Cullen di Sidse Babett Knudsen, mentre allenta le tensioni tra le braccia di Bernard Lowe, il capo programmatore interpretato da Jeffrey Wright, e lui replica: "Lo fanno per autocorreggersi, e diventare più umani. Parlare fra loro è il loro modo per fare pratica".
Quando Maeve si avvicina a Dolores, che, trasfigurata da un ricordo/ flashback/ fantasia (la strada principale di Sweetwater punteggiata di cadaveri), è ferma davanti all'ingresso del saloon, probabilmente vuole "fare pratica", ma quello che succede ci fa pensare più al contagio ipotizzato da Elsie: alle sua facezie Dolores risponde con le stesse parole che le aveva detto Abernathy, ovvero il verso shakespeariano "Le gioie violente hanno violenta fine", che sembra innescare in Maeve, che fino ad ora abbiamo visto incarnare con successo una fascinosa, intraprendente e maliziosa entreneuse, un processo simile a quello già attivo in Dolores e in Abernathy.
These violent delights have violent ends
Il primo elemento "dissonante" sono le prestazioni di Maeve nel suo ruolo: pare che sia meno convincente nell'indurre i clienti del saloon a lasciarsi accompagnare al piano di sopra dalle giovani professioniste del locale, cosa che porta i programmatori della Delos a esaminarla e a fare qualche modifica ai parametri del suo software.
Il secondo è un dialogo sugli incubi con la sua giovane collega che ha gli occhi vasti e conturbanti di Angela Sarafyan. Ce lo chiediamo dal 1968 se gli androidi sognano pecore elettriche, e la risposta di Westworld a quanto pare è sì. "I sogni sono per lo più ricordi", ci informa l'efficientissima Elsie prima di trovare il giusto equilibrio tra sensualità e aggressività che restituirà alla cittadina di Sweetwater la sua perfetta madame.
Ora, quando William viene introdotto a Westworld da un'assistente, le chiede se lei è umana o artificiale, e la donna risponde "Se tu non te ne accorgi, c'è davvero differenza?". Se non sappiamo distinguere tra un frammento di una precedente incarnazione/ programmazione/ storyline e un autentico ricordo, c'è davvero differenza? La visione terrificante di Maeve, che si rivede cercare disperatamente di salvarsi da un attacco di pellerossa, con accanto quella che sembrerebbe essere la sua figlioletta e un'apparizione del Man in Black di Ed Harris, funziona per noi come un elemento di background che ci aiuta a empatizzare con il personaggio. Se per noi è parte di Maeve, perché non dovrebbe esserlo per lei?
Ma l'incubo di Maeve è appena iniziato. Dopo il tweak al software, si rivela necessario per lei anche un intervento sull'hardware, e così si risveglia su un tavolo operatorio con due tecnici impegnati a trafficare nel suo addome che si arrabbiano l'uno con l'altro perchè qualcuno ha dimenticato di "spegnerla". Le reazioni di Maeve alla propria nudità e vulnerabilità sono istintive: armarsi e fuggire. Questa sequenza da sola vale tutto il clamore e il plauso tributato fino ad ora a Westworld: Thandie Newton ci consegna tutta l'angoscia e il terrore di un essere umano precipitato in una situazione atroce che non ha (ancora) i mezzi per decifrare.
Livelli segreti e storie "diverse"
Ulteriori linee narrative non particolarmente rivelatrici per il momento ma indubbiamente intriganti sono ancora una volta quelle che coinvolgono l'inventore di Westworld Robert Ford (Anthony Hopkins) e l'inesorabile pistolero nerovestito di Ed Harris. Il secondo, in cerca da tempo del "più profondo livello del gioco", fa ulteriore sfoggio delle proprie abilità balistiche. Bella forza, direte voi, visto che non può essere ferito; a qualcuno però sorgerà sempre più il dubbio che sia un visitatore molto speciale, soprattutto quando lo Stubbs di Luke Hemsworth riferisce che "quell'uomo ottiene tutto quello che vuole".
Anche l'instancabile demiurgo del parco, dopo aver istruito il suo collaboratore Lowe sul fatto che "per fare Dio devo conoscere bene il Diavolo", è impegnato nella sua personale ricerca, che lo conduce tra le altre cose, a organizzare un interrogatorio privato con Dolores, a rivelarsi incantatore di serpenti-cyborg, e all'incontro con quello che ha tutta l'aria di essere la versione artificiale di lui stesso bambino. Lo scopo - uno degli scopi, per lo meno - diventa evidente al momento della presentazione della nuova e sontuosa "attrazione" o storyline del parco creata dal direttore della narrativa Lee Sizemore (un Simon Quarterman deliziosamente irritante), intitolata "Odissea sul fiume rosso".
E qui lo show uno dei suoi livelli segreti lo scopre: si tratta della critica alla superficialità e alla violenza fine a sé stessa di tanti serial - magari anche serial di HBO. Ford, che da tempo non interviene nella gestione delle "sceneggiature" del parco, disseziona e rigetta quella creatura tronfia e imbottita di cliché, e annuncia la sua intenzione di utilizzare solo parte del materiale per una sua personale idea, al centro della quale c'è un luogo ai margini di Westworld dove si trovano solo i resti di una chiesa. "È un'idea a cui lavoro da tempo. Una cosa piuttosto originale". E una cosa che, non ne dubitiamo, avrà implicazioni e conseguenze che andranno ben oltre le "gioie violente" della clientela di Westworld.
Movieplayer.it
4.0/5