Weapons: lo specchio scuro delle inquietudini della società americana

Ambientato nello scenario suburbano della Pennsylvania, l'ottimo film horror di Zach Cregger adotta una pluralità di punti di vista per far emergere contraddizioni e spauracchi dell'America dei nostri tempi.

Un'immagine di Weapons

C'è una profonda interconnessione fra l'idillio apparente della provincia americana, con file pressoché identiche di villette a schiera circondate da prati curatissimi, e la dimensione oscura e minacciosa che si annida appena al di sotto della superficie. Si tratta di una dicotomia che da decenni esercita un enorme potere di fascinazione sulla letteratura, la televisione e il cinema, in particolare nelle loro declinazioni di 'genere': da buona parte della produzione di Stephen King (un esempio su tutti, la Derry di It) alla fittizia Lumberton rappresentata da David Lynch nel capolavoro Velluto blu, passando ovviamente per Twin Peaks e i suoi innumerevoli epigoni, fino ad approdare agli esempi più recenti. Fra questi ha appena trovato posto pure Weapons, a conti fatti la maggiore sorpresa dell'estate cinematografica del 2025.

Weapons
Un'immagine di Cary Christopher

Secondo cimento di Zach Cregger in qualità di regista 'solista' (dopo le collaborazioni con il collega Trevor Moore) nel campo dell'horror, a tre anni di distanza dal promettente Barbarian, Weapons è ambientato infatti a Maybrook, immaginaria area residenziale nella provincia della Pennsylvania: una piccola comunità sconvolta all'improvviso quando, un mercoledì notte, diciassette alunni di una classe di quinta elementare escono di casa all'unisono per poi scomparire nel nulla. L'idea di una realtà circoscritta, in cui quasi tutti si conoscono e non è facile sottrarsi agli sguardi curiosi dei propri concittadini, è funzionale non solo allo sviluppo della trama, ma alla costruzione del film stesso: sei segmenti distinti, ciascuno corrispondente alla prospettiva di uno dei sei personaggi coinvolti, a vario titolo, nel mistero della sparizione dei bambini.

Weapons: sei punti di vista sull'orrore

Weapons Foto Josh Brolin
Josh Brolin in una scena

È lecito presumere che al grande successo di Weapons - quattro milioni di spettatori all'esordio negli USA e incassi ragguardevoli anche nel resto del mondo (Italia inclusa) - stia contribuendo appunto la sua intrigante struttura narrativa, che porta lo spettatore ad andare avanti e indietro nel tempo: ogni capitolo del film ci porta a rivivere le vicende da uno specifico punto di vista, aggiungendo di volta in volta nuove informazioni all'indagine sulla sorte dei diciassette ragazzi inghiottiti dalle tenebre di Maybrook. Se la natura polifonica della sceneggiatura si rivela dunque una scelta efficacissima, in grado di intrecciare i codici dell'horror con alcuni stilemi del giallo, tale caratteristica riserva però almeno un altro motivo d'interesse: ci fa avvicinare a questi sei comprimari sia per accrescere la nostra empatia (un meccanismo utilizzato spesso da Stephen King nei suoi romanzi corali), sia per suggerirci qualcosa in più sulla società a cui appartengono.

Weapons Scena Trailer
Un'immagine di Weapons

In altre parole, Weapons è un film che funziona egregiamente già a un primo livello di visione, in virtù del suo meccanismo drammaturgico (senza svelare le svolte della trama) e dei suoi contorni da fiaba nera; ma che sa farsi apprezzare ulteriormente per l'abilità con cui, in maniera sottile e perfettamente integrata al racconto, dipinge l'affresco di un microcosmo in cui si riflettono turbamenti e contraddizioni dell'America odierna. A partire proprio da quel nugolo di confusione, paura e rabbia suscitato dall'irruzione dell'ignoto nella placida realtà di Maybrook, e destinato a esplodere durante la riunione presso la scuola elementare a cui prendono parte i genitori dei bambini scomparsi: adulti al contempo spaventati e furiosi, decisi a ottenere delle risposte o, quantomeno, a individuare un capro espiatorio contro cui dirigere il proprio risentimento.

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La ricerca di un capro espiatorio e il ruolo della scuola

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Un primo piano di Julia Garner

E il capro espiatorio in questione è la Justine Gandy interpretata da Julia Garner: l'insegnante della classe che ha visto dissolversi tutti i suoi membri tranne uno, Alex Lilly (Cary Christopher). Mentre Alex, al di là di qualche domanda di rito, in quanto bambino - e dunque, per definizione, innocente - è al di sopra di ogni sospetto, Justine costituisce invece un bersaglio ben più facile: perché è una giovane donna single, e quindi priva di quello "statuto familiare" che accomuna il resto della comunità scolastica; per la sua tendenza a cercare sollievo nell'alcol, sintomo di una potenziale inclinazione al vizio; e forse, anche per un malcelato fastidio collettivo nei confronti di una professione intellettuale e pedagogica, specialmente laddove si ha a che fare con un fenomeno sconosciuto. "Che cosa ha detto ai nostri figli?", è la domanda che risuona come un'accusa all'indirizzo della maestra; "strega" l'appellativo che le viene affibbiato.

Weapons Foto Julia Garner Sequenza
Un'immagine di Julia Garner

Si tratta più che altro di suggestioni all'interno dello script di Cregger, che non si allontana mai dal plot principale; ma sono suggestioni significative, specialmente in un paese in cui la libertà d'insegnamento è spesso messa in discussione da forti pressioni esterne, quando addirittura non viene incrinata con i rischi di pericolose derive (e il recente braccio di ferro tra l'amministrazione Trump e alcune università americane ne è la dimostrazione più estrema). Del resto, l'istituzione scolastica ha un ruolo-chiave nel corso del film: è un (traballante) punto di riferimento per i cittadini e si sforza di reagire alla tragedia, sebbene con posizioni non omogenee fra i suoi componenti, con le affettuose premure di Justine contrapposte alla prudente rigidità del preside, Marcus Miller (Benedict Wong). Ma per quanto imperfetta (nonché teatro di assurde stragi, da Columbine in giù), è proprio la scuola l'ultimo baluardo della tutela dei bambini, tanto da poter far luce sul mistero alla base del film.

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Le diverse facce di un mondo in preda al caos

Alden Ehrenreich Weapons
Un'immagine di Alden Ehrenreich

Mentre Justine e il preside Miller incarnano due lati del sistema scolastico, il Paul Morgan di Alden Ehrenreich, ufficiale del corpo di polizia, è il volto della legge: un personaggio che, a sua volta, avverte il peso delle responsabilità e delle aspettative, professionali ma pure familiari (il suo diretto superiore, il Capitano Locke, è suo suocero); e che in entrambi gli ambiti, nonostante le premesse, incappa in gravi passi falsi fino a perdere il controllo, tanto che della legge diventerà il "braccio violento" (altra questione scottante dell'America di ieri e di oggi). A offrire il controcampo al segmento dedicato a Paul c'è quello su James (Austin Abrams), giovane vagabondo alla disperata ricerca dei soldi per la droga: nel paese travolto dalla piaga della dipendenza da oppiacei, l'emblema di un'umanità semi-invisibile, confinata ai margini della società e per la quale non sembra esistere alcun progetto di recupero né alcuna ipotesi di reinserimento.

Weapons Scena
Un'immagine inquietante del film

Se Weapons, secondo i dettami del genere, costruisce una storia angosciante e dai tratti marcatamente orrorifici, attorno a questa storia si percepisce però un senso di inquietudine più soffuso e impalpabile: la percezione di una società in cui la solidarietà e l'empatia vengono soffocate da impulsi brutali, e in cui l'insorgere del dramma può frantumare un fragile equilibrio. È l'equilibrio a cui si aggrappa il padre di un bambino scomparso, Archer Graff, impersonato da un dolente Josh Brolin: un "uomo qualunque", determinato a ricomporre la propria famiglia - la microsocietà per eccellenza - mentre il suo piccolo mondo gli sta crollando addosso. Un mondo, quello rappresentato nel film di Zach Cregger, in cui frose c'è un 'mostro' da individuare e sconfiggere, ma non solo: è un mondo in cui si aggirano anche spettri quotidiani che, al contrario, fanno parte da sempre della nostra realtà.