Se volete vedere un Jean-Claude Van Damme crepuscolare, ridotto al mutismo causa ferite di guerra, piombato nel quartiere più malfamato di Washington e neppure protagonista principale, ecco a disposizione il film di Lior Geller uscito da poco direct to video per Koch Media e disponibile anche su alcune piattaforme streaming. Come vedremo nella recensione di We Die Young, siamo di fronte a un action-thriller che alterna buone cose a ingenuità, forse dovute alla voglia di strafare tipica di un esordiente, ma comunque degno di una visione. E nel quale, nonostante quanto premesso, la fisicità di Van Damme fa comunque la sua figura.
Ragazzini, gang criminali e la voglia di un'altra vita
Il vero protagonista di We Die Young è però il quattordicenne Lucas (Elijah Rodriguez), ormai ben introdotto in una delle gang messicane più potenti di Washington, dove fa il corriere al servizio del boss Rincon (David Castaneda), che lo ha cresciuto dopo la morte dei suoi genitori e lo alleva con affetto. Il problema è che Lucas ha un fratellino di nome Miguel: ha 10 anni e il destino, visto il contesto, sembra ormai segnato.
Ma Lucas non vuole che anche Miguel faccia quella vita fra crimine e violenza, sogna per lui un futuro migliore, anche perché è il fratellino è una giovanissima promessa del baseball. E proprio la volontà di salvare Miguel, sarà la molla per lasciare sempre quel mondo che farà scattare il corto circuito.
Un Jean-Claude Van Damme intimo, crepuscolare e... muto
Bene, ma Jean-Claude Van Damme allora, direte voi? Fa la parte di un veterano della guerra in Afghanistan, che ha perso l'uso delle corde vocali per una ferita durante il conflitto bellico e lavora come meccanico nella zona della gang. Anche lui fa uso saltuario di sostanze e si rifornisce da Lucas, ma solo per lenire il dolore e tenere a bada i suoi dolorosi flashback che lo riportano sul fronte. Visto che è senza voce, per comunicare fa uso di un apparecchio elettronico, o al massimo butta già qualche scritta. Sarà lui a prendere a cuore le sorti dei due ragazzi e aiutarli a cercare di farsi un'altra vita nella resa dei conti finale. Un personaggio che permette la scoperta di un Jean-Claude Van Damme più intimista e tormentato, ormai disilluso dalle vicende della vita, un ruolo che riesce a scavare il lato drammatico dell'attore più che quello fisico, cosa che sembra preferire lui stesso in questo momento della sua carriera.
Quando il regista si fa prendere troppo la mano
Questo aspetto di Van Damme è forse fra le cose più apprezzabili di We Die Young, assieme a un paio di sequenze di azione ben riuscite e a un ritratto del mondo malfamato delle gang piuttosto coinvolgente, fra riti di iniziazione, tatuaggi e violente ritorsioni. Il problema è che poi il regista Lior Geller, che ha anche scritto e montato il film, si fa un po' prendere la mano e denota un po' le ingenuità dell'esordio sul grande schermo dopo varie esperienze televisive. La decisione di risolvere sempre le questioni in fretta e a revolverate sembra troppo esagerata, come forzata la scelta di inserire tutta la resa dei conti finale durante il matrimonio della sorella di Rincon, a cui lui tiene alla follia perché la figura del boss crudele e spietato, questo non ci viene risparmiato, si abbina sempre ai nobili sentimenti per i familiari.
Se la redenzione diventa confusione
Ma dove Geller perde veramente il filo, dopo aver mantenuto un ritmo credibile lungo il film (a parte i flashback bellici un po' inutili), è proprio dal matrimonio in poi, dove nella casa e attorno si consuma la resa dei conti, che poi travolge le stesse nozze e i suoi invitati. Forse anche per qualche pecca di montaggio, tra inseguimento e sparatorie caotiche, a tratti c'è una sensazione di grande confusione e incoerenza, oltre alla troppa faciloneria di certe soluzioni. Peccato, perché il discorso della redenzione che fa da comune denominatore a vari personaggi, anche se non certo originale, era comunque interessante e coinvolgente, e avrebbe meritato una costruzione migliore.
Conclusioni
Come abbiamo visto nella recensione di We Die Young, il film di Lior Geller ha buoni spunti nella descrizione della vita delle gang e in qualche scena di azione, ma poi perde il filo e finisce per farsi confuso, forse per la voglia di strafare tipica di un regista che in precedenza aveva avuto solo esperienze televisive. Non male comunque il Jean-Claude Van Damme in versione intima e crepuscolare.
Perché ci piace
- Un Jean-Claude Van Damme intimo e tormentato.
- Alcune buone sequenze di azione e la voglia di redenzione di alcuni personaggi.
Cosa non va
- Il montaggio non convince nella parte finale e finisce per generare confusione.
- Il boss della gang è troppo stereotipato.
- La resa dei conti finale durante un matrimonio appare un po’ forzata.