Una radio, scaldamuscoli colorati, un body attillato e un allenamento di aerobica più simile a un numero degno di un night club. È il video di Call On Me, brano del 2004 di Eric Prydz. Ma è anche la prima sequenza di Warfare - Tempo di guerra di Alex Garland e Ray Mendoza che lascia il controcampo a un gruppo di soldati intento a guardarlo dallo schermo di un computer, esaltandosi a vicenda mentre imbracciano i mitra e saltano al ritmo di musica. Una scena che non avrebbe stonato in Jarhead di Sam Mendes e che, invece, sembra apparentemente un corpo alieno nel film di A24. Apparentemente perché quel senso di complicità e unione ad alto tasso testosteronico è lo stesso che ritroveremo, in un contesto e con un tono completamente diversi, più avanti nel film.
Warfare - Tempo di guerra, una storia vera raccontata in tempo (quasi) reale

Garland e Mendoza avevano già lavorato insieme per Civil War. Proprio sul set, l'ex Navy SEAL, diventato nel frattempo consulente per le scene di guerra a Hollywood, ha raccontato al regista inglese la storia del suo commilitone, Elliot Miller, al quale salvò la vita in una battaglia scoppiata nel 2006 nella periferia di Ramadi, in Iraq. Lì dove gli Stati Uniti guidati da George W Bush Jr. erano entrati nel paese tre anni prima alla ricerca delle famigerate armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Quella che sulla carta doveva essere una missione di sorveglianza per garantire, il giorno successivo, il passaggio sicuro delle forze di terra nella zona, si è tramutata in un conflitto pesantissimo con un gruppo di jihadisti di al-Qaeda radunati dall'altra parte della strada dell'abitazione di una famiglia irachena che i SEAL avevano scelto come base.

Alex Garland aveva appena trovato il seguito a Civil War. Per realizzarlo chiese a Ray Mendoza di essere il suo co-sceneggiatore e co-regista. È così che nasce Warfare - Tempo di guerra, un film basato solo sui ricordi dell'ex membro delle forze speciali della Marina statunitense e dei suoi compagni presenti quel giorno. La volontà è stata quella di filmare una sorta di reportage visivo, realizzato in tempo quasi reale, privo di un contesto politico specifico, di una struttura narrativa classica e senza nessun dettaglio pregresso sui personaggi. Un racconto che parte in medias res per immergere lo spettatore all'interno stesso della guerra, tra i momenti di noia dettati dalle lunghe attese e il caos terrificante dello scontro armato per cercare di raccontare la natura stessa del conflitto.
Un film lontano da elogi patriottici
Ambientato interamente nella casa/base e nei suoi immediati dintorni, Warfare - Tempo di guerra è un prodigio di tecnica. Garland, impegnato nelle riprese - mentre Mendoza si occupava di dirigere il cast, essendo sia regista che testimone diretto di ciò che mettevano in scena -, ha orchestrato un film formalmente impeccabile. Il quartiere di Ramadi è stato ricostruito in un gigantesco set fuori Londra che ha permesso di avere un controllo totale sugli spazi. Paradossalmente, nel riprendere il plotone nei momenti di stallo, durante brevi scambi o nella stanza impiegata per osservare i movimenti al di fuori dell'abitazione, il film assume un retrogusto teatrale.

Per evitare qualsiasi escamotage narrativo presente in altri film di guerra, attraverso i quali indorare la pillola allo spettatore o permettere una strumentalizzazione emotiva di ciò che viene raccontato, i registi hanno anche scelto di non inserire una colonna sonora. Di contro, però, il lavoro sul suono ha una sua forte valenza narrativa. Dalla radio con la quale i SEAL comunicano in gergo militare ai colpi di arma da fuoco incessanti, dalle esplosioni che fanno vibrare l'abitazione alle urla strazianti dei soldati dilaniati fino al boato dei caccia che fanno sussultare nella poltrona del cinema, tutto nel sound design è pensato per amplificare la sensazione di trovarsi lì sul campo, per provare a farci capire cosa significhi essere nel cuore di una battaglia.

La volontà non è quella di edificare un racconto patriottico, ma di mostrare il volto più crudo, feroce e spaventoso della guerra. E soprattutto lo spreco in termini di vite umane che trascina con sé. I protagonisti del film - un gruppo di giovani attori formidabili: Will Poulter, Joseph Quinn, Cosmo Jarvis, Kit Connor, Charles Melton, Taylor John Smith e D'Pharaoh Woon-A-Tai nei panni dello stesso Mendosa - combattono contro un nemico che non vedono. Sparano e lanciano granate, ma non sanno contro chi lo stiano facendo. Questo sottolinea ancor di più universalità di ciò che Warfare - Tempo di guerra racconta, specie in un momento storico in cui il film arriva nelle sale. Un tempo in cui i conflitti in Europa e Medio Oriente si protraggono da anni mostrandoci la distruzione e lo sterminio di vite umane per il gioco di potere di una manciata di uomini.
Warfare - Tempo di guerra e le similitudini con Civil War
Nel guardare il film appare chiaro come Warfare - Tempo di guerra sia una prosecuzione del lavoro iniziato da Alex Garland in Civil War. La pellicola del 2024 raccontava degli Stati Uniti dilaniati dall'interno da una guerra civile in un futuro non tanto lontano. Ad immortalare il crollo della "più grande democrazia del mondo", l'obiettivo della reporter di guerra Lee Miller (Kirsten Dunst) e della giovane fotografa inesperta interpretata da Cailee Spaney. Verso la fine del film c'è una lunga, impressionante, sequenza che mostra l'assedio della Casa Bianca da parte delle forze occidentali del Texas e della California e l'alleanza della Florida per catturare il presidente al suo terzo (illegale) mandato.

Una prova generale di quello che Garland ha poi messo in scena, in termini di regia viscerale e immersiva realizzata con la consulenza di Mendoza, nel loro film. Esattamente come in Civil War, anche in Warfare - Tempo di guerra il regista inglese ci rende impossibile distogliere lo sguardo e lo fa attraverso un mirino/obiettivo (quello del mitra del cecchino Elliot Miller e della macchina fotografica di Lee Miller che, per uno strano scherzo del destino, hanno lo stesso nome). È così che ci sembra di poter sentire l'odore metallico del sangue, avvertire la secchezza delle fauci e il bruciore degli occhi invasi da polvere e detriti, percepire l'aria irrespirabile data da fumogeni e granate. "Questa è la guerra", sembra volerci suggerire il film nei suoi 90 minuti di durata.
Una grande esperienza cinematografica
Continuando il paragone con il film del 2024, era inevitabile che anche Warfare - Tempo di guerra venisse attaccato. C'è chi lo detesterà per gli stessi motivi per i quali verrà elogiato. La sua mancanza di contesto, la sceneggiatura scarna che non lascia spazio a drammatizzazioni o aggiunte rispetto all'effettivo corso degli eventi, l'assenza di backstory per i protagonisti. Tutti elementi che possono portare a una mancanza di coinvolgimento e a una freddezza respingente che potrebbe tacciare il film di essere un mero esercizio di stile.
Quello che davvero stona, rispetto a tutte le dichiarazioni fatte dai registi e dagli interpreti rispetto l'assenza di un punto di vista patriottico/eroico del film, è la scelta di inserire alla sua conclusione le immagini dei veri membri del plotone dei Navy SEAL. Si vedono i soldati accanto agli attori che li hanno interpretati, oltre ad immagini della loro presenza sul set nel corso delle riprese. Una decisione che stona e lascia perplessi a fine visione e sembra far crollare la base stessa che sorregge il progetto.
In quelle immagini si intravedono anche i green screen che circondano il luogo delle riprese. Una testimonianza del fatto che, nonostante la meticolosa e ossessiva volontà di ricreare un'esperienza bellica il più reale possibile per farci provare la quantità di emozioni contrastanti di chi si trova in un terreno di combattimento, quella di Warfare è più una grande esperienza cinematografica. A restare impresso e sintetizzare in modo chirurgico ciò che significa fare e vivere la guerra è il "Perché?" urlato dalla donna irachena, prigioniera nella sua stessa casa sotto i colpi delle armi jihadiste, a uno dei soldati americani. Una domanda rimasta senza risposta.
Conclusioni
Warfare – Tempo di guerra di Alex Garland e Ray Mendoza è una sorta di prosecuzione di Civil War nel suo approccio narrativo privo di contesto politico o di una struttura classica. Il suo intento è quello di mettere in scena un racconto crudo e immersivo sulla guerra grazie alla ricostruzione, quasi in tempo reale, della battaglia di Ramadi del 2006 attraverso i ricordi dei Navy SEAL presenti, tra cui lo stesso Mendoza. La regia e il sound design amplificano la sensazione di trovarsi sul campo, rendendo il film un'esperienza cinematografica viscerale anche grazie alle ottime interpretazioni di un cast corale. Unico neo, la scelta finale di inserire a fine film le immagini dei veri soldati al fianco dei loro interpreti. Una decisione che sembra contraddirne l'intento fondante.
Perché ci piace
- Le prove attoriali di un grande cast corale.
- La regia tecnicamente impeccabile di Alex Garland e Ray Mendoza.
- La scelta di non dare coordinate allo spettatore.
- L'incredibile lavoro sul suono.
Cosa non va
- La carrellata finale di immagini che mostrano i veri soldati accanto agli attori che li hanno interpretati.
- La stessa mancanza di coordinate narrative potrebbe respingere e lasciare emotivamente distante una parte di pubblico.