Il mondo è in pericolo; c'è una maledizione che da tempo lo affligge, e sono due e due soltanto coloro che possono annientarla e portare pace, benessere e tranquillità nel nostro tempo. Questi due eroi arrivano entrambi da lontano, dalle terre oltre gli oceani - uno di loro, si mormora, discende addirittura da un alieno - e si trovano ad affrontare una sfida che finora si è dimostrata improba per qualsiasi essere umano: realizzare un bel film tratto da un videogioco.
Duncan Jones, figlio dell'indimenticabile David Bowie e autore di quel gioiello del cinema di fantascienza intitolato Moon, e il Justin Kurzel di Macbeth hanno entrambi la responsabilità di dover portare sullo schermo due delle più celebri e redditizie saghe videoludiche degli ultimi decenni, Warcraft ed Assassin's Creed, due progetti, tra quelli tratti da videogiochi, tra i più ambiziosi, anche in termini di budget, mai prodotti. Sarà davvero questa la volta buona?
Per sapere quanto sarà letale l'assassino interpretato da Michael Fassbender dovremo aspettare dicembre, mentre possiamo dire fin da subito che no, questo Warcraft - L'inizio non rappresenta esattamente la risposta a tutti i problemi, ma è comunque un primo, reale passo verso quella che non può che essere la strada giusta: perché questa terza opera di Jones non sarà magari un'operazione completamente riuscita e forse nemmeno un grande successo in stile Il signore degli anelli, ma è comunque un film a tutti gli effetti e non un mero tentativo di portare in sala videogiocatori richiamati da un celebre brand.
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Quando la passione non è tutto
Perché, al contrario di quello che forse pensavano all'inizio in quel di Hollywood, per convincere i videogiocatori a seguire le gesta dei loro eroi sul grande schermo piuttosto che su un televisore o su un monitor non basta il nome, non basta un attore di grido e non bastano nemmeno citazioni e easter eggs per conquistarsi la loro fiducia. Se un videogioco deve diventare un film, ovvero una versione non interattiva e spesso meno divertente del loro hobby preferito, deve offrire qualcosa indietro, deve offrire il gusto e la magia del cinema. Altrimenti, perché cambiare? Perché non tornare semplicemente ad impugnare il joypad?
Duncan Jones, che appassionato del vasto e complesso universo di Warcraft lo è davvero, sembra aver capito questa lezione e, almeno sulla carta, confeziona un film che è ricchissimo di ammiccamenti e rimandi al materiale di partenza, ma che ha comunque la volontà e la necessità di funzionare anche per i neofiti. E qui viene ovviamente il difficile, perché realizzare una saga fantasy non è mai semplice e sappiamo bene tutti che Il signore degli anelli è l'eccezione e non la regola, chiedetelo pure a Peter Jackson e al suo Hobbit. Ma Jones quantomeno ci prova e bisogna ammettere che dal punto di vista visivo questo Warcraft - L'inizio può reggere il confronto con titoli ben più blasonati. E non parliamo solo delle trilogie di Jackson, ma - almeno per quanto riguarda le creature in CGI e soprattutto gli impressionanti primi piani - anche dell'Avatar di James Cameron.
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Anche l'orco vuole la sua parte
Se da questo punto di vista l'Industrial Light Magic sembra aver superato perfino i rivali della Weta, è sotto altri aspetti che il film di Jones mostra i suoi limiti, soprattutto se confrontato con i due film di cui sopra: Warcraft infatti si colloca esattamente a metà tra l'abbondanza tematica e narrativa del mondo tolkieniano e l'essenzialità di quella cameroniana, con un intreccio ed una backstory (inutilmente) complessa e poco approfondita, e molteplici passaggi affrettati che non solo non aiutano a tenere alti l'attenzione e l'interesse dello spettatore ma nemmeno riescono a far apprezzare la bellezza di alcune ambientazioni. Anche la regia di Jones non regala guizzi, ma si limita a riproporre quello che ormai è diventato lo standard del genere grazie alle intuizioni dei suoi predecessori.
È così quindi che, soprattutto nella prima ora di visione, si viene letteralmente teletrasportati da un luogo all'altro di Azeroth, da foreste a leggendarie cittadine fluttuanti, da dimore di potentissimi maghi a castelli regali protetti da grifoni alati, da accampamenti di orchi a foreste protette da legioni di guerrieri umani. Questo ping pong narrativo ha il solo scopo di sottolineare costantemente il dualismo umani/orchi che è al centro del film e che, nelle intenzioni di Jones, dovrebbe non solo riprodurre fedelmente quello del videogioco ma anche rappresentare una ventata di novità in un genere, quello del fantasy, dove buoni e cattivi sono abitualmente evidenti fin dalle premesse.
E se questa scelta inusuale funziona per quanto riguarda gli orchi, ottimamente caratterizzati non solo nelle fattezze estetiche, purtroppo lo stesso non vale per i personaggi umani, macchiettistici e privi di caratura drammaturgica. Manca quel senso di epicità, manca la consapevolezza che dietro questo immaginario ci sia una mitologia ricca e complessa che venga davvero voglia di esplorare e vivere a fondo.
La fretta di cui sopra, l'impossibilità (dovuta anche alla durata di due ore imposta dalla Universal che per un fantasy epico è ben al di sotto della media) di potersi soffermare quanto necessario su questi personaggi, le loro motivazioni e i loro background è certamente alla base di questo grave difetto, ma certamente non aiutano nemmeno le interpretazioni poco convincenti degli "umani" Travis Fimmel, Ben Foster, Dominic Cooper e Ben Schnetzer - tutti apparentemente poco convinti ed a disagio con il tono a metà tra l'ironico e l'epico che spesso li riguarda - che vengono completamente annullate dal carisma della controparte orchesca guidata da Paula Patton in carne ed ossa (ma pelle verde) e completata dall'impressionante performance capture di Toby Kebbell, Robert Kazinsky, Daniel Wu e Clancy Brown.
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L'inizio, di nome e di fatto
È davvero un peccato che alla parte finale, l'inevitabile e immancabile battaglia di massa, si arrivi così poco coinvolti, perché in quel momento lo script di Duncan Jones riesce a riservare qualche sorpresa e ad allontanarsi dai classici topoi del genere gettando così le fondamenta per il futuro di una saga che, al termine del primo film, si preannuncia decisamente più interessante di quanto lo fosse in partenza. Che poi è certamente il traguardo che si era imposto lo stesso regista, evidentemente preoccupato più a imbastire un progetto di ampio respiro che a realizzare un film equilibrato e di buon livello.
Ma ci saranno davvero dei sequel? La struttura del film e il finale aperto non sembrano lasciare dubbi al riguardo, ma si sa la risposta in questi casi ce la può dare solo il botteghino e le durissime critiche USA di questi giorni - alcune giuste, altre fin troppo severe - non sono certo rassicuranti in questo senso. Eppure di un ritorno al fantasy, così come del ricco pubblico dei videogames, il cinema di oggi sembrerebbe avere tanto bisogno che viene quasi spontaneo, per il momento, farsi bastare anche questo. Purché si continui a migliorare e a guardare avanti.
Movieplayer.it
2.5/5