Recensione La notte non aspetta (2008)

Un thriller metropolitano dotato di buon ritmo, con qualche spunto lodevole nei confronti più aspri tra i personaggi, ma che non aggiunge molto ad un filone di cui sembra ripercorrere le tappe obbligate, senza lo smalto del recente passato.

Vivere e farsi ammazzare a Los Angeles

L'incontro tra la penna di James Ellroy e un regista come David Ayer prometteva scintille. Non fosse altro che per una ossessione comune, incarnata da quella Los Angeles dei bassifondi in perenne oscillazione tra la luminosità delle strade assolate e le tenebre del delitto. Duole dirlo, ma l'esito di una cooperazione che si prospettava così stimolante, almeno sulla carta, è risultato di gran lunga inferiore alle aspettative. La notte non aspetta si presenta quale thriller metropolitano dotato di buon ritmo, con qualche spunto lodevole nei confronti più aspri tra i personaggi, ma che non aggiunge poi molto ad un filone di cui sembra ripercorrere le tappe obbligate, senza lo smalto del recente passato. Altri dubbi si affacciano, sebbene le scene d'azione rivelino un taglio iper-realistico quanto mai appropriato al contesto; sufficientemente schietto e brutale è l'esplodere di una violenza che, poco importa se siano poliziotti o criminali a spararsi addosso, lascia comunque buchi enormi sui corpi martoriati dai proiettili; quasi a voler omaggiare la realpolitik importata a suo tempo nel genere (western, ma non solo) da un Peckinpah. Eppure, sulla cruda verosimiglianza della rappresentazione si affaccia una morale subdola, talvolta assai irritante, improntata com'è al più trito giustizialismo.

Dicevamo infatti di quanto la trama sia debitrice di quelle visioni consolidate, per non dire luoghi comuni, che operano in un sotto-genere la cui codificazione comincia a mostrare la corda. C'è l'immancabile poliziotto dal passato sofferto che preferisce agire da solo, cercando ove possibile di freddare i malviventi più pericolosi, prima ancora che essi vengano assicurati alla giustizia. Il detective Tom Ludlow, in questo muoversi ai margini della legalità, può contare sulla copertura offerta dal capo del suo reparto e da colleghi che si spingono, se necessario, ad alterare le prove, pur di farlo uscire pulito. Tutto ciò riesce per un po' a tenerlo lontano dai guai, per quanto il capitano Biggs della commissione interna non lo perda mai di vista. D'altronde le apparenze potrebbero facilmente ingannare, ed infatti l'assassinio dell'agente che un tempo lavorava in coppia con Ludlow mette in moto un meccanismo perverso, da cui emergono terribili verità sul conto di alcuni elementi di spicco della polizia di Los Angeles; il rapporto del protagonista con loro si deteriora in un lampo, gli amici diventano all'improvviso nemici e all'interno della squadra si profila pertanto un sanguinoso regolamento di conti.

Nel grottesco ballo in maschera che coinvolge poliziotti corrotti, paladini della giustizia dal grilletto facile e spietati criminali, le tentazioni (violenza, corruzione, tradimento) cui vanno incontro gli agenti di polizia si rispecchiano in quella condizione liminare, per cui i tutori dell'ordine rischiano presto di emulare i comportamenti di chi infrange la legge. Sono schemi classici del genere che, a ben vedere, trovano asilo di frequente negli ambienti della west coast, a ricordarcelo basterebbero titoli come Vivere e morire a Los Angeles. Ma nel nuovo film di Ayer i dialoghi tagliati con l'accetta e la prevedibilità di alcuni risvolti non giovano certo alla causa. Un montaggio incalzante e l'estro con cui sono dirette le scene d'azione dimostrano ancora una volta le virtù da solido mestierante del cineasta americano, al cui lavoro mancano però quegli innesti originali che egli aveva saputo proporre nella sceneggiatura di Training Day e ancor di più ne I giorni dell'odio (Harsh Times), suo lungometraggio d'esordio; soprattutto in questo caso, il focolaio di rabbie e sguardi disillusi costituito dalle periferie di Los Angeles andava a colorarsi di suggestioni nuove, dovuto all'inserimento di un personaggio reduce dalla guerra in Irak, fonte per lui di psico-patologie e deviazioni caratteriali particolarmente allarmanti. Peccato che la sceneggiatura di La notte non aspetta, pur vantando la partecipazione di uno scrittore come Ellroy (di cui si conferma il gusto per un piano narrativo complesso e articolato), non offra spunti di uguale consistenza. In tal modo finisce per essere meno incisivo l'apporto di un cast ben concepito, con un convincente Keanu Reeves nei panni del detective Ludlow, attorniato da comprimari di lusso quali Forest Whitaker, Chris Evans e dulcis in fundo un ambiguo e ombroso Hugh Laurie.