Vittoria, la recensione: desiderio di maternità in un'opera vitale, al confine tra realtà e finzione

Il nuovo film del duo Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman ricostruisce gli ostacoli e le difficoltà del percorso dell'adozione internazionale. Al cinema dal 3 ottobre con Teodora Film.

Marilena Amato stringe la piccola Vittoria

Il cinema di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman si colloca in quella terra di confine tra finzione e documentario che fornisce continua linfa vitale, permettendogli di restare in eterno movimento. Affascinati dalla potenza e complessità delle figure femminili, dopo Butterfly e Californie, con Vittoria i due registi realizzano il terzo film diretto a quattro mani ambientato nella zona di Torre Annunziata. Territorio d'elezione dovuto a una serie di incontri e casualità per i due cineasti, fiorentino doc Cassigoli, americano di nascita ma fiorentino d'elezione, Kauffman, che sembrano, però, rigenerarsi con le figure sanguigne, esagerate e spesso larger than life incontrate nella provincia napoletana.

Vittoria Personaggio Marilena Amato
Marilena Amato incontra la piccola Vittoria

In realtà Vittoria, che vanta Nanni Moretti tra i produttori, sarebbe una storia familiare, che racconta il cammino intrapreso da una coppia con tre figli maschi per adottare una bambina. Cammino che li porterà fin nel cuore della Bielorussia, dove incontreranno per l'appunto la piccola Vittoria, che andrà a ingrandire il loro nucleo familiare. A emergere con prepotenza è, però, ancora una volta la figura di Jasmine, la madre di famiglia, interpretata con coraggio e dedizione da Marilena Amato, incontrata dai due registi sul set di Californie. È lei a scombussolare la famiglia per via del suo prepotente senso di maternità che la spinge a desiderare una figlia femmina da crescere a fianco dei suoi tre maschi e sarà lei a trascinare marito e figli in un'avventura impossibile che culminerà con l'ingresso in famiglia della piccola Vittoria.

La potenza delle piccole storie quotidiane

Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman sono venuti a conoscenza della vera storia vissuta da Marilena Amato dai racconti della donna e hanno deciso di raccontarla dirigendo i veri protagonisti in un film completamente scritto che conserva l'immediatezza dello sguardo tipica del documentario. La scelta di utilizzare attori non professionisti continua a premiare i due cineasti, capaci con la loro telecamera di rubare emozioni e sentimenti "veri" grazie a uno stile di regia diretto e potente. L'obiettivo resta incollato a Jasmine/Marilena per gran parte del film. Torre Annunziata rimane lontana, sullo sfondo, mentre al centro dell'immagine i personaggi mettono in scena un'intimità fatta di sguardi, corpi, gesti, parole e urla.

Il desiderio febbrile di Jasmine di avere una figlia femmina si impossessa di lei giorno e notte, come racconta la donna descrivendo il sogno ricorrente che la spinge a intraprendere il difficile cammino dell'adozione internazionale. In una serie di scambi e confidenze con amiche, clienti, medici e perfino con una cartomante, Jasmine è sempre più determinata ad avere una figlia, ma non vuole affrontare una quarta gravidanza. Alcune tra le scene più intense del film la vedono tener testa al marito Rino, contrarissimo all'idea dell'adozione, e il figlio maggiore Vincenzo, che lavora con lei nel salone di parrucchiera e con cui condivide una relazione intima e sincera.

L'intimità coi personaggi

Vittoria Marilena Amato Figlio
Marilena Amato si confida col figlio Vincenzo

Tutte queste scene hanno il sapore della verità e ciò non dipende solo dal fatto che sono i veri protagonisti di questa storia a interpretare se stessi sullo schermo. Il linguaggio creato da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman permette ai cineasti di arrivare al cuore delle vicende narrate grazie a un'immediata empatia e partecipazione coi personaggi. I registi riescono a instaurare un'intimità coi protagonisti che non sfocia mai nel voyerismo né nel giudizio, ma induce lo spettatore a partecipare alle vicende che gli vengono raccontate come se stessero accadendo ad amici, vicini o conoscenti.

L'emozione è palpabile, soprattutto nel climax che vede l'incontro tra i due coniugi e la piccola Vittoria in Bielorussia, ma non dà mai l'impressione di essere costruita a tavolino. Questo libero fluire rende il racconto tanto più potente e coinvolgente quanto più sobrio e intimo, vicino al nostro quotidiano e per questo ancor più vero e commovente.

Conclusioni

Come rivela la nostra recensione di Vittoria, il percorso umanistico di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman si arricchisce di un altro potente ritratto femminile in un film a cavallo tra finzione e documentario che racconta i drammi e gli ostacoli di una famiglia quando la madre decide di intraprendere il difficile percorso per adottare una bambina.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
2.6/5

Perché ci piace

  • L'intimità che i registi riescono a instaurare con uno stile sobrio e immediato.
  • Lo sguardo limpido della telecamera, sempre vicino ai personaggi.
  • L'attenzione alle figure femminili.
  • Alcune sequenze particolarmente emozionanti come il primo incontro della coppia di genitori con Vittoria.

Cosa non va

  • Qualche ellissi temporale troppo brusca risulta spiazzante.