Vita privata, recensione: Jodie Foster al servizio di un film medio

Rebecca Zlotowksi dirige un whodunit alla francese. Funziona nel tono e nelle interpretazioni, ma senza il cast passerebbe inosservato. In sala.

Jodie Foster in Vita privata

Il concetto di verità, oggi, ha perso le sue forme e i suoi contorni. Ormai, che siano i reel di Instagram o i proclami (pseudo)politici, la verità è solo questione di prospettiva. Tutto cambia in base ai punti di vista. Tutto si evolve, mutando pure la memoria e la percezione. Pura distopia, qualcuno dice. Girandoci attorno, ma ammiccando un po' troppo al giallo borghese, Rebecca Zlotowksi - sempre più centrale nel cinema medio europeo - dirige e scrive (insieme ad Anne Berest) Vita privata che, della verità, ne fa un ovvio file rouge.

Vita Privata Jodie Foster Primo Piano Credits George Lechaptois
Jodie Foster e i suoi occhiali scuri

Un whodunit alla francese, senza però esserlo davvero; piuttosto l'accordo tra commedia, mistero e introspezione, affondando nella profondità e nell'introspezione, per evitare di percorrere (intelligentemente?) il cammino del più classico e convenzionale thriller. Nonostante le premesse.

Vita privata: metti Jodie Foster a Parigi

Vita Privata Jodie Foster Scena Credits George Lechaptois
Vita Privata: Jodie Foster in una scena tratta dal film

A proposito di premesse: in Vita privata, Jodie Foster (!) veste i panni di Lilian Steiner, una psicoanalista americana trasferitasi a Parigi ormai da anni. È separata dal marito Gabriel (Daniel Auteuil) e ha un figlio adulto (e inconcludente), Julien (Vincent Lacoste), con cui fatica a relazionarsi. Nonostante Parigi sia diventata casa sua, sembra intorpidita verso i propri pazienti. La morte - apparentemente un suicidio, ma chissà - di una sua paziente la getta nello sconforto, spingendola a dubitare della versione ufficiale e a indagare personalmente. Quello che inizia come un dovere professionale (e morale?) si evolve presto in un tormentato viaggio dove sospetti, ricordi, ipnosi e visioni surreali finiscono per miscelarsi.

Una struttura da salottino

Su carta, il film della Zlotowksi funziona. Teoricamente, l'assunto da giallo è però un pretesto per rileggere macro-temi come il dolore, l'identità e, appunto, la verità. Niente di nuovo, ma declinato secondo le regole di uno spettacolo che tenta di sbottonarsi. Perché dietro la domanda cardine - chi ha ucciso Lilian? - si nasconde un discorso molto più ampio, nel quale gli indizi - se così possono essere chiamati - sembrano risolvere innanzitutto le crisi vissute da Lilian, terapeuta che ha smesso di ascoltare i propri pazienti. Se il tono è di quelli leggeri (forse un po' troppo leggeri, considerando lo spessore umano messo in campo), non c'è dubbio che la tensione, alla lunga, tenda a scivolare via (ma il timbro c'è, anche grazie alla snella durata), bloccandosi in una struttura da salotto (anzi, salottino).

Un film medio

Vita Privata Jodie Foster Daniel Auteuil Credits George Lechaptois
Vita Privata: Jodie Foster e Daniel Auteuil in una foto

Per questo si parlava di teoria: la regista apparecchia la messa in scena senza sbaffi o strattoni, dimenticando però il trasporto emotivo e, di conseguenza, lasciando tutto a metà. Ecco, Vita privata è, a tutti gli effetti, un racconto spaccato in due: se il peso è sorretto interamente da Jodie Foster (e da Daniel Auteuil, in grado di ridare brio alla storia ogni qual volta che entra in gioco), la sceneggiatura - che mischia diversi umori, senza mai incidere davvero - si sfilaccia in una dimensione di mezzo che, per volere dell'autrice, prova ad acchiappare il pubblico. Se l'effetto non manca, il calore narrativo fatica ad accendersi. Ci prova Jodie Foster, e ci prova una furbesca Pyscho Killer piazzata in apertura, a scaldare la situazione. Ma lo schema narrativo va avanti a vampate, e alla fine dei giochi resta troppo poco. Come dire, un buon film e nulla più.

Conclusioni

Rebecca Zlotowski rivede i confini del whodunit secondo una logica francese. Se Jodie Foster e Daniel Auteuil meritano la giusta attenzione (salvando l'opera), il film sembra puntare ad una canonicità sterile puntellando gli elementi nella giusta posizione. Tuttavia, resta anonimo, e poco saporito. Una visione (nella) media, che lascia ben poco.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Jodie Foster e Daniel Auteuil.
  • Uno spunto interessante.
  • Tutto troppo al punto giusto...

Cosa non va

  • ... rendendo il film decisamente anonimo.
  • Alla fine, resta davvero poco.