Con il suo vissuto da figlio del mondo, perennemente in viaggio da una città all'altra, la voce calma e rassicurante, le tante lingue parlate, lo sguardo dolce e allo stesso tempo l'aspetto autorevole, Viggo Mortensen sembra destinato a interpretare capi carismatici, guide spirituali e padri, candidandosi di diritto a erede di Liam Neeson come attore perfetto per i ruoli di questo tipo.
Proprio un padre è uno dei suoi ultimi personaggi, non un genitore qualsiasi: in Captain Fantastic, di Matt Ross, nelle sale italiane dal 7 dicembre, Mortensen dà volto a Ben Cash, padre di sei figli che cresce nei boschi delle foreste del Pacifico nord-occidentale, nello Stato di Washington, isolati dalla società perché non si facciano corrompere dal consumismo, dai cibi da fast food, dall'apatia che colpisce chi passa tutto il giorno davanti a uno schermo. Insegnando loro a cacciare, scalare montagne e costruirsi un rifugio, Ben fa dei suoi figli degli atleti pronti a qualsiasi situazione, e, una volta intorno al fuoco, li fa discutere di filosofi, letteratura, musica, scienza, come avrebbe fatto Socrate con i suoi allievi nell'antica Grecia. Un progetto utopistico e allo stesso tempo folle: si può preparare dei ragazzi alla vita isolandoli dal mondo?
Lo abbiamo chiesto proprio al protagonista, che ha presentato il film nella sezione Alice nella città alla Festa del Cinema di Roma 2016: "Quando Ben dice ai suoi figli siate forti e accettatelo, in realtà gli sta dicendo tutt'altro" ci ha detto a Roma, continuando: "Quello che dice loro in realtà è al diavolo questo, non lo accetteremo. Ciò che insegna ai suoi figli, nel tentativo di essere un buon genitore, è mettere in discussione ogni cosa: se stessi, lui, fratelli e sorelle, per Ben nessun argomento è tabù. È un padre che vuole parlare con i suoi figli, in modo onesto: vuole discutere con loro, in modo che formino le loro opinioni che imparino a mettere in discussione anche queste, per poi saperle difendere. Credo sia fantastico, ma purtroppo non esiste il padre perfetto: anche lui fa degli errori. A volte non è flessibile, a volte si spinge troppo oltre, forse a volte può sembrare troppo onesto, specialmente quando parla con i figli più piccoli, forse potrebbe usare parole diverse. Il film è divertente e sconvolgente in molti momenti, quando vedi la sua onestà ti spiazza, ma nella vita reale credo si debba essere un po' più flessibili".
Per essere un buon genitore forse bisogna ricordarsi del figlio che si è stati: che figlio è stato Mortensen? "Ognuno ha nel suo bagaglio il bambino che era, non ne esiste un altro", ha risposto l'attore, proseguendo: "Credo sia un bene ricordare sia le cose belle che quelle brutte: comprendendo il passato hai la possibilità di fare sempre del tuo meglio per il presente. Ogni esperienza che ho avuto da bambino mi aiuta per i miei ruoli. Una cosa che ho imparato da piccolo è stata quella di adattarmi: ad altri punti di vista, a lingue e culture diverse, perché la mia famiglia si è spostata molto. Questo mi aiuta perché sono ancora curioso, per me è normale essere esposto a punti di vista diversi. Ai bambini non servono registi, non hanno bisogno di un secondo o terzo ciak, non hanno bisogno di essere diretti, credono in quello che fanno al cento per cento. Non hanno pregiudizi, giocano con altri bambini di qualsiasi colore e ideologia: non mettono in discussione queste cose, imparano a farlo, imparano ad avere dubbi, smettono di giorare. Come attore sento che il mio lavoro è continuare a giocare in quel modo, in modo da potermi buttare, non soltanto per capire il punto di vista di un personaggio che è diverso dal mio, ma anche per innamorarmi di quel punto di vista".
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