Illuminare il cinema: intervista a Seamus McGarvey

Abbiamo parlato con il direttore della fotografia, nominato agli Oscar, Seamus McGarvey: ecco la nostra video intervista.

Nicola Kidman veste i panni di Virginia Woolf in The Hours
Nicola Kidman veste i panni di Virginia Woolf in The Hours

Come possiamo definire un direttore della fotografia al cinema? Probabilmente non c'è proposta migliore del semplice "regista alla seconda". E come accade a molti cineasti, anche molti direttori della fotografia hanno bisogno di essere affiancati a complementi di speficazione per essere riconosciuti. E così Badford Young, Bruno Delbonnel, Bill Pope perdono il loro nome di battesimo per diventare semplicemente "i direttori della fotografia di Arrival, di A proposito di Davis, di Baby Driver - Il genio della fuga". Ma ci sono anche professionisti che, come Seamus McGarvey, amano restare nell'ombra. Lui, uno dei migliori direttori della fotografia del cinema contemporaneo, che con la sua luce e i suoi colori rende vivi corpi e ambienti già resi visibili dalla fantasia dei registi, alla luce della ribalta preferisce l'oscurità del backstage. "Un habitat naturale", come lo ha definito lui stesso nel corso di questa intervista, che lo culla come un grembo materno, mentre tutto attorno è un brulicare di universi che prendono vita per poi morire al suono di uno "stop".

The Hours, Espiazione, Avengers, Nowhere Boy, 7 sconosciuti a El Royale, sono tante tappe di una carriera tanto versatile quanto divergente in termini di generi cinematografici. Eppure quel tocco delicato, fatto di colori accesi, pronti a lasciar spazio a tonalità cineree in un'atmosfera attraversata da contrasti di luce di caravaggesca memoria, è riconoscibile agli spettatori più attenti. Uno stile che ha fatto dei film di cui ha curato la fotografia tanti dipinti, e la sua carriera una pinacoteca da ammirare a bocca aperta. E se è vero che con il termine "fotografia" si intende "scrivere con la luce", allora McGarvey con la sua fotografia cinematografica ha scritto e dipinto alcuni dei più bei capitoli del cinema contemporaneo.

LA NOSTRA VIDEO INTERVISTA A SEAMUS MCGARVEY

VIVERE D'ARTE

Keira Knightley in un intenso primo piano in Anna Karenina
Keira Knightley in un intenso primo piano in Anna Karenina

Seamus McGarvey non ha bisogno della fama, o del successo. Sapere che le persone lo riconoscano per i film che ha curato, per lui è sufficiente, perché vuol dire ritrovare dietro a tale identificazione con il prodotto cinematografico, un sentito apprezzamento per quei mondi a cui lui stesso ha contribuito a creare. Un amore, quello con il cinema, esploso in tutta la sua forza durante gli anni del college, quando il futuro direttore della fotografia ha avuto la possibilità di appassionarsi sempre di più a questo strumento così poetico e profetico. "Addentrandosi nelle radici della nostra cultura, il cinema rivela di possedere qualcosa di magico, di alchemico, che permette non solo di comprendere il nostro passato e presente, ma anche di anticipare il futuro. A volte rimango stupito da quanto stupenda e magica questa arte sia". Ma quando Seamus McGarvey ha deciso di diventare un direttore della fotografia? "Credo che i segnali anticipatori del mio destino possano ritrovarsi all'interno della camera oscura di casa mia. Sebbene fossi solo un bambino restavo ammaliato dal constatare quanto la realtà potesse modificarsi in base a un semplice movimento di macchina, o gioco di luce. Non sapevo ancora ai tempi che volevo diventare un direttore della fotografia, ma inconsciamente mi stavo già preparando a esserlo".

50 SFUMATURE DI TALENTO

Cinquanta sfumature di grigio: Dakota Johnson e Jamie Dornan in una scena del film
Cinquanta sfumature di grigio: Dakota Johnson e Jamie Dornan in una scena del film

Si fa il segno della croce solo a sentirlo nominare, ciononostante tra i titoli che abitano la sua trentennale carriera, Cinquanta sfumature di grigio è uno dei più noti. Eppure, non deve essere stato facile lavorare a questo film, diretto da Sam Taylor-Johnson e tratto dal primo capitolo della trilogia di E.L. James. La stessa autrice, ci confida McGarvey, "era sempre presente sul set, attenta che tutto rispecchiasse quanto narrato nel libro, così da non deludere i fan". Una presenza che non ha fatto altro che aumentare la mole di stress che aleggiava silente dietro e davanti la cinepresa. McGarvey e Sam Taylor-Johnson sentivano il peso delle aspettative, eppure alla fine ce l'hanno fatta: hanno portato a casa un film che sebbene dal punto di vista narrativo non sia niente di eclatante, da quello visivo regala delle trovate sorprendenti. Merito della straordinaria alchimia tra i due, "del tutto naturale", ci dice il direttore della fotografia, "nata in seno a un'amicizia lunga più di trent'anni. Ho affiancato Sam sin dai suoi primi lavori fotografici, per poi seguirla al suo debutto cinematografico con il cortometraggio Love you more. Pensate che a suggerirle di girare questo corto è stato il grande Anthony Minghella. Sam è una persona fantastica, nonché una grandissima regista".

Lo ripete spesso quanto questo, o quella regista, sia "a great director and a lovely person". Dispende elogi, offrendo una parola di encomio per tutti, Seamus McGarvey. E lo fa con naturalezza e sincerità, non solo perché sospinto da una personale bontà d'animo, ma soprattutto perché - come ci tiene lui stesso a sottolineare - "sono stato fortunato a lavorare con registi con cui sono sempre andato d'accordo. Così facendo ho potuto ritrovare nel corso della mia carriera non solo dei colleghi fedeli con cui lavorare regolarmente, ma amici con cui stringere legami molto profondi. Ed è un legame fatto di reciproca ammirazione che lega Seamus McGarvey non solo a Joe Wright (regista con cui è amico da più di vent'anni, e con cui potrebbe ritornare a lavorare finalmente insieme dopo sei film, e due nomination agli Oscar per Espiazione e Anna Karenina) ma anche con Tom Ford.

Cinquanta sfumature di grigio: sotto la trilogia niente

ANIMALI NOTTURNI E NORMAL PEOPLE

Animali notturni: Amy Adams in un'immagine tratta dal film
Animali notturni: Amy Adams in un'immagine tratta dal film

"Una lavorazione velocissima e anche molto dura, visto l'intreccio narrato": è questo il ricordo che Seamus McGarvey ha di Animali notturni Il film di Tom Ford, presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2016, ha permesso al direttore della fotografia di lavorare con questo famoso stilista prestato alla Settima Arte, di cui McGarvey era già un grande ammiratore. Sul set, il direttore della fotografia ha potuto conoscere anche un lato più umano di Ford, "disponibile e aperto a nuove idee, mai propenso a imporre il proprio volere, ostentando la sua posizione o il suo nome". Un'umiltà che lo accomuna a McGarvey e che insieme ha permesso a entrambi di realizzare quello che forse è il loro capolavoro. Ma tra i grandi capolavori firmati McGarvey c'è anche Espiazione. Ed è proprio il film di Joe Wright uno dei lavori a cui McGarvey è più legato (la sua scena preferita è quella della libreria, anche perché, come confessatoci, "non riesco a guardare sul grande schermo il piano sequenza di Dunquerque. Mi rende nervoso perché mi riporta a quei giorni di lavorazione, quando ero terrorizzato che qualcosa potesse andare terribilmente storto mandando tutto all'aria"). Tra i film di cui va più fiero ci sono anche Zona di guerra, diretto da Tim Roth, e Flying Saucer of Rock'n'Roll, "cortometraggio del 1997 nato come parodia di un vecchio film fantascientifico di serie B degli anni Cinquanta. Devo ammettere che mi sono divertito molto a girarlo nella mia città natale, in Irlanda del Nord. Dentro c'è di tutto, da L'alba dei morti viventi, a proiezioni al cinema riprese dal vivo, senza contare tutti quegli elementi che rendevano così affascinanti questi generi cinematografici".

Normal People 5
Normal People: Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal

E restando in Irlanda, a conquistare recentemente McGarvey è stata la visione di una serie televisiva pronta a far breccia nel cuore del pubblico italiano: Normal People. La serie TV tratta dal best-seller di Sally Rooney disponibile sulla piattaforma StarzPlay, è "stata girata meravigliosamente" secondo le parole di McGarvey. Un prodotto di alta qualità, reso ancora più prezioso dalla fotografia di Suzie Lavelle, intervistata proprio da McGarvey per la rivista American Cinematographer all'interno della rubrica "Clubhouse Conversations". "Conosco Suzie da tempo, è irlandese come me, e nei sei episodi di Normal People da lei curati (la fotografia dei restanti sei è di Kate McCullough) si può ammirare il suo talento. Ha fatto un lavoro pazzesco. Il suo tocco delicato ha ammantato la serie di un bellissimo senso di intimità, restituendo tutta la dolcezza e purezza di un amore che nasce, sfiorisce, per poi risbocciare, già narrato in maniera impeccabile da Rooney. Ho letto il libro ed ero curioso di vedere come lo avrebbero trasposto. Ne sono uscito soddisfatto".

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AVENGERS: VENDICATORI (SUPER)UMANI

Tom Hiddleston nei panni di Loki in un'intensa scena di The Avengers
Tom Hiddleston nei panni di Loki in un'intensa scena di The Avengers

Nella sua carriera McGarvey non si è fatto mancare nulla, nemmeno un'incursione nel mondo dei supereroi. Un campo in cui stava per fare ritorno nel 2020 per la realizzazione di un film di cui non può dirci nulla e dedicato a un personaggio che per quanto amato non può rivelare (se diciamo però "amichevole supereroe di quartiere" vi viene in mente qualcosa?). Per tre mesi, isolato in quarantena a Los Angeles, McGarvey aveva contribuito alla sua realizzazione iniziale, per poi vedersi costretto ad abbandonare il progetto una volta fatto ritorno in Europa (McGarvey fa la spola tra la Svezia e la Toscana, dove vive nelle campagne fiorentine). "Non riuscivo a ottenere i visti necessari per ritornare a Los Angeles, soprattutto a causa delle decisioni prese dal governo Trump. Poi vari altri problemi si sono accumulati e così sono stato costretto a fare un passo indietro". Peccato perché sarebbe stato bello vedere cosa ci avrebbe riservato McGarvey dopo il bellissimo lavoro fatto con il primo The Avengers di cui ci ha regalato molti aneddoti. "La mia idea, e quella del regista Whedon (con il quale ho appena finito di girare una serie intitolata The Nevers) era quella di rendere soprattutto a livello visivo questi supererori umani, e per questo fallibili. Nel farlo volevamo fare a meno di quella fotografia pomposa, cartoonesca, a cui eravamo abituati. Certo, le scene chiave del primo Avengers rimangono quelle date delle esplosioni, e dagli spostamenti aerei, ma eravamo interessati a stabilire un contatto umano con i personaggi e il pubblico, giocando su uno stile tanto verosimile, da spingere lo spettatore a pensare 'allora forse quella cosa la posso fare pure io'. Era uno stile che alla Marvel non faceva impazzire, tant'è vero che un produttore, poco dopo la scena dell'interrogatorio di Natasha da parte dei russi, mi sussurrò all'orecchio che la Marvel aveva il timore che questo Avengers potesse sembrare un nuovo Star Trek, e non in senso buono. Per quanto fosse diverso lavorare su un film del genere, mi sono divertito. Come esperienza la paragonerei a una seduta di pilates in chiave cinematografica, visti tutti i movimenti che dovevamo compiere sul set".

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THE GREATEST SHOWMAN HA UN NOME: HUGH JACKMAN

The Greatest Showman: Hugh Jackman in una foto del film
The Greatest Showman: Hugh Jackman in una foto del film

Se noi tutti siamo ancora provati dalla visione del musical Hamilton (che però Seamus non ha visto perché "non ho gli strumenti necessari per guardarlo qui a casa in Toscana") McGarvey ha partecipato a un film non completamente apprezzato dalla critica, ma fortemente d'impatto a livello visivo (oltre che canoro): The Greatest Showman. "È stato come essere sul set di un film di Bollywood con tutte quelle camere che si intrecciavano, soprattutto durante le coreografie". Un film a cui tutte le persone coinvolte (Hugh Jackman in primis) hanno analizzato e studiato a fondo in ogni singolo dettaglio, in modo che ogni passaggio tra un momento cantato, e uno dialogato, fosse il più naturale possibile, e non "l'accorpamento di pseudo videoclip musicali. Alla fine il risultato ottenuto è un film che sprizza gioia, entusiasmo e ottimisimo da tutti i pori, ed è forse su questo aspetto che i critici si sono accaniti, additandolo come un filmetto commerciale. Il che è paradossale, e allo stesso affascinante, voglio dire, non è quello che dovrebbe fare il cinema? Intrattenere la massa? Poi credo che un'opera come The Greatest Showman sia un prodotto perfetto da guardare insieme a tutta la famiglia. I miei stessi figli conoscono ogni canzone a memoria. Il più piccolo, Ossian, ha perfino un costume da P.T. Barnum che gli ha cucito sua nonna". Della realizzazione di The Greatest Showman ciò che McGarvey ricorda però con più affetto è l'aver lavorato con una persona di cuore come Hugh Jackman. "Oltre che un grande attore e professionista, Hugh è una persona straordinaria. Pensate che invitò me e la mia famiglia al suo spettacolo al Wembley Stadium. Ossian indossava il suo costume e quando i riflettori lo illuminarono, Hugh urlò davanti a tutto il pubblico di Wembley, "quel bambino ha il vestito più bello al mondo".

Dopo l'abbandono a progetti come Pinocchio e l'innominabile supereroe Marvel, McGarvey poco ci può dire sui suoi progetti futuri. Forse un film girato in Toscana e probabilmente una nuova collaborazione con Joe Wright lo aspettano nei prossimi mesi. Quello che possiamo fare, come detto anche in questa intervista, è tenere le "dita incrociate". Cosa quanto mai auspicabile soprattutto in un momento come questo, dove le finanze camminano su equilibri precari, e i produttori trovano difficile riuscire a rendere realtà i film.