Viaggio nell'oceano della retorica
Scamarcio come Ulisse, facendo il verso a Chaplin. Il suo viaggio Verso l'Eden, organizzato da Costa-Gavras scomodando l'Odissea, è quello di un giovane e aitante emigrante che, tuffandosi da un barcone della speranza per sfuggire alle imperturbabili autorità, si ritrova ad attraversare da solo tutta l'Europa per giungere a Parigi, dove sogna di cambiare la sua vita con un colpo di bacchetta magica. Prima di giungere alla meta, deve però attraversare una lunga serie di prove, ostacoli e pregiudizi, apparentemente insormontabili, che ne testano il coraggio e l'intraprendenza. Il suo è un vagabondare nella terra dell'abbondanza, che per il regista greco diventa occasione per bombardarci senza pietà con una lunghissima serie di fastidiosi stereotipi e anomalie del mondo contemporaneo: donne insoddisfatte che tradiscono, buffet luculliani sciupati sotto il diluvio, turisti col telefonino che filmano il cadavere di un disgraziato portato a riva dal mare, e via dicendo.
Costa-Gavras realizza un road movie della speranza, una corsa verso un Paradiso (quello che abitiamo noi occidentali) che ha tutta l'aria di un Purgatorio per chi è dotato di moralità irreprensibile. Certo, l'amplificazione e l'affastellamento di situazioni limite che propone il film è funzionale a ciò che vuole far passare, ma tirando la corda si rischia l'irritazione dello spettatore. La soluzione al problema per Costa-Gavras è allora quella del doppio registro: far sorridere e far scuotere la testa di fronte agli eventi narrati. Ad ogni angolo del film si trova perciò l'occasione di sbeffeggiare, criticare, o insultare sottilmente, ma sempre con aria spensierata, coltivando l'ambizione di una slapstick comedy impegnata, una favola moderna che riflette sulle differenze che intervengono tra il ricco Ovest del titolo originale (Eden à l'Ouest) e le tasche vuote di chi vive ai margini del mondo. Una verità, leggermente esagerata, che non può farsi da sola Cinema. Il protagonista del film non ha una provenienza dichiarata e mastica una lingua incomprensibile. Costa-Gavras ne fa perciò un autentico simbolo dell'immigrazione clandestina. Che poi sia bello, pulito, onesto, affascinante, coraggioso, e via così di aggettivi positivi, è un altro discorso. Riccardo Scamarcio è chiamato a una prova troppo impegnativa, essendo privo di un'adeguata gamma di espressioni che restituiscano il senso più profondo del suo personaggio. Il suo è un ruolo fisico, fondato sulle gag più che sulle battute, tutto concentrato sulle emozioni del volto e sui significati che risiedono nella gestualità. Quel che ne viene fuori è qualcosa di spesso maldestro. Tanto più che il suo Elias piega in ginocchio sia uomini che donne, apparentemente travolti dal suo fascino, ma l'appeal sullo spettatore è ben più modesto. Siamo nell'oceano della retorica, di un'ingenua visione del mondo. Se questo è un biglietto per l'Eden, tanto vale cambiare rotta e sperare che l'Inferno possa essere più stimolante.