Recensione Death Row (2012)

Death Row è una serie di quattro episodi che, con le loro diverse caratteristiche, sanno raccontare aspetti diversi dell'applicazione della pena di morte negli Stati Uniti.

Viaggi all'inferno

Werner Herzog torna ad affrontare la pena capitale dopo il riuscito documentario Into the Abyss, realizzando un progetto parallelo ed ambizioso ma di più ampio respiro, che trasforma quel singolo film in Death Row, una serie che in quattro episodi da 52 minuti analizzano quattro diversi casi, quattro storie. Quella di James Barnes, un condannato all'ergastolo per l'omicidio della moglie che, dopo otto anni di pena già scontati, diventa mussulmano e durante il Ramadan convoca i detective della omicidi per confessare di aver ucciso anche un'altra donna. Quella di Hank Skinner, condannato per l'accoltellamento della fidanzata e dei suoi due figli portatori di handicap, ritrovato a pochi isolati di distanza dalla scena del delitto ubriaco e nascosto nel ripostiglio di un'altra donna; un racconto reso vivido dalle doti affabulatorie di Skinner ed interessante perchè la sua esecuzione è stata già pianificata e posticipata tre volte. Il terzo episodio è dedicato a Joseph Garcia e George Rivas, protagonisti del più articolato dei casi analizzati, due storie personali che confluiscono nell'ingegnosa evasione di sette prigionieri da un carcere del Texas, nella quale rimase ucciso un agente di polizia. Infine incontriamo Linda Carty, una delle sole dieci donne nel braccio della morte in Texas (contro trecento uomini), condannata con l'accusa di aver orchestrato l'incursione in casa di una coppia latino americana, con lo scopo di rapire la donna ed impossessarsi del figlio appena nato.

Concisa e diretta, l'introduzione degli episodi di Death Row illustra la situazione relativa alla pena di morte negli USA, indicando in quanti stati è ancora attiva ed applicata; ma non basta, la chiosa del breve testo fuori campo sottolinea fin da subito il punto di vista di Werner Herzog, che rispettosamente non è d'accordo.
La tecnica usata dall'autore riprende quella già vista nel già citato Into the Abyss, alternando le interviste realizzate in carcere ai condannati in attesa del'esecuzione con ricostruzioni del reato che li ha fatti condannare, immagini dalle scene dei crimini ed interviste ad altre figure collegate alla loro storia (detective o giornalisti, familiari o legali dei condannati). La principale differenza risiede nel minor tempo a disposizione per ognuno di essi, che costringe il regista a ridurre lo spazio a disposizione per le dichiarazioni dei personaggi secondari delle storie, non volendo ridurre quello dedicato alle interviste ai condannati, perdendo qualcosa nella descrizione complessiva e nel livello di approfondimento di ogni caso preso in esame.
Con le loro diverse caratteristiche, le storie prese in esame da Herzog sanno raccontare aspetti diversi dell'applicazione della pena di morte negli Stati Uniti, tra trasferimenti, rinvii, processi con prove prese in esame solo parzialmente e testimonianze non ascoltate. Ci mostra uno spaccato del dietro le quinte dei prigionieri attraverso i loro racconti, della loro vita in cella e dei sogni irrealizzabili.
Il punto di vista di Herzog sulla pena di morte in generale è dichiarato con onestà fin dall'inizio, ma questo non gli impedisce di dare una panoramica completa ed obbiettiva di ogni caso preso in esame, dando spazio anche alle voci contrarie ai condannati, tratteggiando dei quadri realistici di questi personaggi, degli esseri umani che erano al momento dei crimini e sono ancora oggi mentre in attesa dell'esecuzione, informando senza prendere posizioni definite su di loro e senza sfruttare le loro storie per lanciare un'accusa della pena capitale e della sua applicazione.

Movieplayer.it

4.0/5