Vera, la recensione: Il riscatto di Vera Gemma

La recensione di Vera, un film di Rainer Frimmel e Tizza Covi. Vera Gemma interpreta se stessa in una storia di riscatto e liberazione.

Vera, la recensione: Il riscatto di Vera Gemma

"A casa mia essere belli era un dovere, dovevi essere bella per forza. Guai se ingrassavi, era più grave ingrassare che essere dipendenti dalle droghe". A casa Gemma funzionava così, e del resto non sarebbe potuto andare diversamente negli anni in cui un giovanissimo e aitante Giuliano Gemma furoreggiava sul grande schermo a colpi di spaghetti western. All'epoca sua figlia Vera era appena una bambina, eppure come spiegheremo nella recensione di Vera, quell'ossessione della bellezza l'avrebbe accompagnata per il resto della vita, trascorsa nel tentativo di dover parare i colpi di un confronto costante con l'ingombrante figura paterna. Nel film di Rainer Frimmel e Tizza Covi che nella sezione Orizzonti della 79ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia si è guadagnato un premio per la migliore interpretazione femminile e uno per la miglior regia, Vera si mette a nudo e compie un autentico viaggio di liberazione. In sala dal 23 marzo.

Storia di una liberazione

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Vera: un'immagine del film

Ci sono voluti due grandi narratori del reale come Rainer Frimmel e Tizza Covi (La pivellina, Mister Universo) ed una personalità eccentrica quanto caparbia come quella di Vera Gemma, per trasformare quello che potrebbe sembrare un semplice documentario su una figlia d'arte, Vera, in uno dei migliori tentativi del nostro cinema contemporaneo di avventurarsi in nuovi territori. Un'opera metacinematografica dal sapore crepuscolare, a tratti pasoliniana, in bilico costante tra realtà e finzione che evoca, racconta e mostra con la giusta distanza, senza emettere giudizi. Una narrazione che esce dalla solita comfort zone e una protagonista che rivela le sue ferite più profonde. Davanti al bancone di un bar in piena notte Vera manda giù uno shottino di vodka dopo aver partecipato all'ennesimo evento mondano, in una Roma dove la "dolce vita" degli anni '50 ha lasciato il posto a decadenti festicciole con tanto di trampolieri, comparse vestite da geisha e personaggi dello show biz che si agitano al passo di ritmi latini.

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Vera: una foto del film

"Ho un modello di bellezza tutto mio, mi ispiro alle trans. Più somiglio a una trans e più mi sento bella. Da piccola ero innamorata pazza di Eva Robin's", confessa alla giovane barista che rassetta le ultime cose. Sin dall'inizio il film dichiara le proprie intenzioni: una fugace ma sincera immersione nel mondo di Vera, da sempre in lotta con l'etichetta di "figlia di", all'ombra del celebre padre Giuliano Gemma morto nel 2013 in un incidente d'auto. Covi e Frimmel la seguono nel sottobosco delle sue frequentazioni borderline, tra l'alta società romana e le strade di borgata, spesso alla mercé di relazioni superficiali. Un giorno durante il suo girovagare per le strade della capitale, l'autista Walter che la accompagna ovunque investe per errore padre (Daniel) e figlio (Manuel) di otto anni a bordo di uno scooter. L'incidente nel traffico della periferia romana di San Basilio la porterà a instaurare un legame profondo con entrambi, è l'occasione per trovare un po' di autenticità ma anche quella per rendersi conto di quanto in fondo siano in tanti a starle vicino per convenienza e spesso solo per mettere mano ai suoi soldi.

Una fotografia neorealista

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Vera: una scena del film

Con l'inseparabile cappello da cowboy, su tacchi vertiginosi, capelli biondo platino e pelliccia d'ordinanza Vera attraversa questi due mondi con ingenuità bambinesca, ne viene fuori un personaggio quasi naif che frequenta le boutique del centro con la stessa semplicità con cui passa del tempo con il piccolo Manuel addobbane di festoni la casa senza acqua corrente e un affitto arretrato da mesi, solo per festeggiare il compleanno della nonna del ragazzo. Tutto intorno una carrellata di volti e ambienti da cinema neorealista si alterna ai provini a cui Vera continua ostinatamente a partecipare in cerca di un riscatto, ai registi impegnati che la snobbano salvo poi volerci fare una foto insieme quando scoprono essere la figlia di Giuliano Gemma, o a quelli squattrinati e aspiranti tali che, come Gennaro, amano soprattutto il suo portafogli.

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Vera: una sequenza del film

Ci si muove così tra scene di finzione e altre in cui le cose semplicemente accadono sotto l'occhio vigile e rapito dei registi. C'è qualcosa di tragico e infinitamente malinconico nella quotidianità di Vera, ci sono i filmini di famiglia, c'è una casa che di quel padre continua a parlare con la gigantografia di Giuliano Gemma che campeggia sul letto di Vera e ci sono vecchi proiettori e cimeli del cinema che fu stipati in vecchi container. Ci sono incontri dolenti come quello con un'altra figlia d'arte Asia Argento che si conclude al cimitero davanti alla tomba del figlio di Goethe, ricordato con la sola iscrizione di "figlio di", quasi "un monito per noi che siamo figlie d'arte". Un film che libera, riscatta, resiste e spariglia le carte rompendo le etichette.

Conclusioni

In conclusione, come abbiamo ampiamente ribadito nella recensione di Vera, il film di Rainer Frimmel e Tizza Covi si conferma un'opera preziosa e di rara autenticità. Merito di una coppia di registi che da sempre sa come immortalare il reale e di una protagonista che si offre in tutta la sua verità, senza mai sottrarsi in uno straordinario viaggio di liberazione.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • Un racconto a tratti pasoliniano, con una galleria di volti e personaggi da cinema neorealista.
  • La protagonista Vera Gemma interpreta se stessa e si mette a nudo, rivelando il lato meno glamour e lontano dai reality che ce l'hanno fatta conoscere.
  • Il viaggio liberatorio di una figlia d'arte che lotta da sempre con l'immagine ingombrante del celebre padre.
  • La capacità di commuovere e divertire.

Cosa non va

  • Difficile trovare qualche difetto in questo piccola operazione d'autenticità, forse lo si potrebbe rintracciare in alcune scene di finzione meno riuscite di altre.