Sion Sono è da sempre regista fuori dagli schemi, ma con un film come Himizu ha voluto puntare in alto e rischiare, senza paura di suscitare discussioni e divisioni. Il regista giapponese ha infatti preso lo spunto iniziale, per il suo nuovo film, dall'omonimo manga di Furuya Minoru, che raccontava una storia di adolescenti allo sbando; ma ha voluto porre questa storia sullo sfondo della terribile tragedia che ha colpito il Giappone lo scorso 11 marzo, con il terremoto, lo tsunami e il disastro di Fukushima. Una scelta che ha reso Himizu un'opera ancora più complessa e ricca di spunti di discussione: di alcuni di essi, il regista ci ha parlato nell'incontro che abbiamo avuto con lui al Lido, dove il suo film è stato presentato, per la prima volta nella sua carriera, nella prestigiosa sezione del concorso.
Quali sono le differenze tra il film e il manga originale, scritto prima della tragedia dell'11 marzo?
Il manga ha un tono diverso, è più "depressivo", perché è stato scritto in un periodo in cui il paese era più pacifico. C'era una sensazione di stabilità, che dopo il terremoto è completamente scomparsa: per questo ho voluto rendere questa precarietà sullo schermo, modificando il film con immagini quasi apocalittiche.
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Il film ha una parte quasi documentaristica, visto che alcune scene sono girate sui veri luoghi del disastro. Cosa può dirci di questa scelta?
Sono stato sui luoghi reali, ma il film non ha certo uno stile documentaristico. La scelta è stata dettata dal fatto che, se non avessi girato in quei luoghi, non avrei colto l'essenza di ciò che era successo. Ero un po' preoccupato perché in Giappone, di solito, non si usa trasporre eventi del genere in soggetti cinematografici, si ha timore di essere quasi indiscreti: ma devo dire che la gente del posto è stata molto disponibile, e anche favorevole al fatto che quello che è successo fosse in qualche modo documentato, prima di cadere nell'oblio.
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Paradossalmente, infatti, il film è meno grafico del manga per alcuni aspetti, in particolare nella scena dell'uccisione del padre di Fumida.
E' vero, ed è un'osservazione interessante. Va sottolineato che la violenza c'è, ma non è il tema principale del film. Il tema del rapporto tra padre e figlio ha un carattere triste, per questo non volevo mostrare quella scena troppo graficamente.
Perché l'uso della poesia di Francois Villon in apertura e in vari altri momenti del film?
E' una mia scelta, visto che prima di fare il regista volevo diventare un poeta. Ma credo di aver mantenuto, nei miei film, la potenza espressiva della poesia, quando scrivo e dirigo ho lo stesso approccio del poeta, lo stesso modo di descrivere la realtà.
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La piccola comunità che vive accanto al protagonista, fatta di sopravvissuti al disastro, può essere considerata, nel film, l'unica che funzioni davvero?
Sì, è così. E' una comunità fatta di persone, di individui che dopo una tragedia enorme soffrono e reagiscono, e riescono anche a ricreare dei legami. E' questo l'unico modo di far fronte a eventi del genere.