"Sono sopravvissuto agli anni '70, sono sono sopravvissuto agli anni '80, sono sopravvissuto agli anni '90, scegliendo di costruire una famiglia, e uscendo dallo stupido hotel. La scelta più trasgressiva che potesse fare una rockstar". E giù un riff di chitarra, e giù le lacrime e giù le suggestioni musicali che si fanno parole impresse ed espresse, come se fossero un romanzo divenuto immagine. Ecco poi l'infanzia a Zocca, le poesie con la mamma, le canzoni di Sanremo imparate a memoria, l'Usignolo d'Oro, come risposta provinciale allo Zecchino d'Oro. Inizia così, tra i sentimenti e la realtà, tra il palco e un vecchio cinema, l'epopea umana del più grande rocker italiano, Vasco Rossi. E si inizia pure con un titolo emblematico, che racchiude il senso esatto delle cinque ore divise in cinque episodi: Vasco Rossi - Il Supervissuto, mini serie scritta da Igor Artibani e Guglielmo Ariè, insieme a Pepsy Romanoff, anche regista, e disponibile su Netflix.
Super-vivere, perché sopra-vivere non conta niente. Bisogna impegnarsi artisticamente, bisogna esercitarsi con la chitarra, girando un accordo musicale per comporre la preghiera generazionale per eccellenza, Siamo solo noi. Una preghiera per chi non si è risvegliato, e per chi si è risvegliato senza sogni. Un cerchio che si apre, e subito si chiude: Vasco, a 13 anni, vince l'Usignolo d'Oro con Come nelle fiabe - lui, che aveva imparato a "suonare portando al pascolo le pecore" -, e quarant'anni dopo rieccolo a riempire gli Stadi, cantando guarda caso Come nelle favole. "Io e te, io e te... come nelle favole". Basterebbe l'incipit, che gracchia le bobine di un registratore Nagra III analogico a rendere l'idea, a generare quei brividi e quella sostanza, seguendo la sua storia, passo dopo passo.
E va bene così, senza parole!
Un giro a Zocca, nel palazzo del suo primo amore, la piccola Annamaria, descritta come "la più grande delusione d'amore". Storie nella storie, e intanto il montaggio che gioca d'attrazione, sparando Senza Parole, a sorpresa, come se fosse un regalo. Noi siamo lì, in ascolto, a cantare con le labbra, scoprendo i lati mai rivelati del Blasco, che parte dal principio assoluto. Le discoteche, le piscine, i bar e l'arrivo di Marco Gherardi, amico d'infanzia con cui fondò il primo gruppo musicale e la prima radio pirata che trasmetteva in FM. La scintilla nella Preistoria.
Contro le regole, contro lo stato sociale, contro l'ideologia impacchettata che poi sarebbe esplosa nel decennio "più stupido e più divertente di tutti", gli anni '80. Del resto, in Vasco Rossi - Il Supervissuto c'è tutto, non manca nulla. Forse c'è addirittura troppo. Un collage preciso, alternando foto, luoghi, interviste, voci, filmati. Sentiamo l'odore del passato - che poi è anche il nostro - sentiamo l'adrenalina del presente, di cui Vasco è ancora - stoicamente - puntuale cantautore. Anzi, un cantastorie, come spiega Gaetano Curreri, una sorta di Virgilio tra Inferno e Paradiso, personaggio fondamentale nella vita artistica e personale di Vasco.
... e tutto il mondo fuori
Sotto sotto, sale il rock, il sound e la rivoluzione, una lettera d'amore alle radio libere e un on-the-road che vola nell'etere. L'anarchia musicale come svolta, i colori che si fanno saturi, cotonati nel passaggio epocale, tirando le somme tra i corridoi dello Snoopy Club, storica discoteca di Modena - "ma la console una volta era più bella, aveva un fascino incredibile", dice Vasco. Un luogo magico, il tempio pagano che accende la memoria, quasi ispirando la narrazione di Vasco Rossi, legata al linguaggio seriale ma scevro dalle strutture del documentario impostato.
Vasco, il riottoso in jeans e maglietta, quel ragazzo dagli occhi azzurri che stava costruendo un genere, tra analisi del testo e armonia, tra commistioni e note graffiate: nasce Albachiara "fresca come l'aria", la dolcezza che strilla, e un tour leggendario come Il colpa d'Alfredo suonato nei locali (ci sono diversi filmati inediti in Super 8 effettuati da Mauro Luccarini), a far finta di essere grandi, di essere immortali. Immagini che si inventano, il giro controcorrente, la faccia pulita degli anni Settanta, immaginata in pochi minuti, diventata inno e ninna-nanna, estasi e peccato. Vasco Rossi - Il Supervissuto non si ferma mai, passi indietro e passi in avanti, l'archivio riaperto e un letto disfatto mai rifatto. La strada del Blasco, quel Dio nato a Zocca, che incrocia suoni ed emozioni, incidendo i pensieri lucidi e proibiti, parlando ad una platea innamorata che non dorme mai, ritrovandosi o forse no. Del resto chi lo sa come va, la vita spericolata.
Vado nel Messico, io, altro che al mare
Una docuserie emotiva, istintiva, dai guizzi inaspettati e dall'umore inarrestabile, che non si risparmia e approfondisce le pagine più controverse (la droga, l'arresto, le dipendenze), facendo di Vasco il capo espiatorio di un decennio, ma permettendo al cantante di liberarsi dalle ansie e dalle paranoie. La rabbia diventa combustibile, le responsabilità diventano consapevolezze. Cadere, e ripartire da zero. Se solo Pepsy Romanoff, pseudonimo di Giuseppe Domingo Romano, poteva fotografare Vasco, avendo prodotto e girato diversi film-concerto del cantautore, è interessante notare l'universalità della storia: dietro la minuziosa biografia di una leggenda c'è il valore dello storytelling capace di coinvolgere intimamente, ritrovandosi e rispecchiandosi.
Anche senza essere una rockstar, anche senza essere fan di Vasco Rossi (chi scrive la recensione apprezza Vasco, ma non si reputa un accanito seguace), la miniserie Netflix si concentra sull'uomo, sulle declinazioni del rock come atto sovversivo, si concentra sull'iperbole iconica ma onesta, e sulle pieghe (e piaghe) d'Italia, portandoci ad annusare le sensazioni forti capaci di risvegliarci dal torpore, declinando la genialità artistica e creativa assetata di latte e zucchero, assetata di successo e di innovazione, sfidando l'establishment borghese della musica italiana: "Sanremo? Pensavano fossi matto. E invece i matti erano loro". Andiamo al massimo, sì, eccome se andiamo al massimo. Azione e reazione, e poi magari andiamo in Messico con il microfono in tasca. Altro che Sanremo. Impossibile resistergli, impossibile non restare oggettivamente coinvolti nell'esplosione di un "indiano metropolitano, che cercava di migliorare se stesso". E allora, quando la musica è finita e le parole sono asciutte, resta lo sguardo sudato di un ragazzo senza nome, che prima di un concerto riassume e legittima il supervissuto: "Vasco? Vasco è tutto, Vasco...".
Conclusioni
Onesta, sincera, emozionante, umana. La docuserie sul Blasco è un grande esempio di racconto, tra l'arte e la rivoluzione. Infatti, come scritto nella nostra recensione, Vasco Rossi - Il Supervissuto è una docuserie libera dagli schemi, aprendosi sia ai fan del Dio di Zocca che a chi lo conosce solo attraverso i brani più iconici. Un lavoro di montaggio, di ricerca, di sensazioni, capace di immortalare al meglio il più grande rocker italiano.
Perché ci piace
- La precisione del racconto.
- La messa in serie.
- L'onestà e la sincerità.
- Una docuserie che può piacere anche ai chi non è fan.
Cosa non va
- Potremmo non aver nulla da criticare...