A volte una semplice narrazione non basta; per scuotere le menti bisogna compiere un atto rivoluzionario, destabilizzando i valori, ribaltando il proprio credo, donando un'umana fragilità (o coraggiosa intraprendenza) a personaggi fermi nella propria santità.
Maria, Giuseppe e l'arcangelo Gabriele sono pezzi di un puzzle che noi tutti conosciamo a menadito; nella laicità del nostro paese, le Sacre Scritture sono una galleria di racconti insidiatisi nella nostra cultura, nella memoria collettiva, impregnatisi nelle sfumature colorate di dipinti celebri (da Leonardo, a Raffaello, passando per Tiziano o Veronese), facendosi parte di una conoscenza universale, condivisa tra credenti e non. Ed è proprio andando coraggiosamente a toccare la portata universalmente condivisa di tali personaggi, per svestirli di divinità e investirli di complicata umanità, e di emancipazione femminile, che un film come Vangelo secondo Maria intende inserirsi nella mente dello spettatore, sensibilizzandolo circa temi delicati di carattere attuale.
Noi donne stiamo vivendo il momento peggiore della nostra storia
Le discrepanze di genere, la condizione della donna, i sogni spezzati e le responsabilità non richieste: il film presentato al 41.esimo Torino Film Fest e tratto dall'omonimo romanzo di Barbara Alberti del 1979, affronta con forza ed eleganza tutte queste delicate tematiche, affidandole alle parabole di personaggi chiave della cristianità come Maria e Giuseppe di Nazareth. Il cinema si è fatto, dopotutto, sempre più specchio riflettente la nostra società, e se è vero che - come afferma il personaggio di Maria (una profonda e ribelle Benedetta Porcaroli) - "il vero peccato è l'ignoranza", allora ecco che anche un prodotto come Vangelo secondo Maria potrebbe aprire gli occhi a taluni spettatori, e renderli meno ignoranti circa la condizione della donna di oggi, che non differisce poi così tanto da quella di Maria.
"È illuminante quello che hai detto" ci dice Barbara Alberti, nell'intervista rilasciataci insieme al regista Paolo Zucca e ad Alessandro Gassmann in occasione della presentazione torinese del film. "Stiamo facendo delle grandissime euforie su quello che abbiamo conquistato, quando in verità un giorno sì e un altro no viene ammazzata una donna; ed ecco che ogni volta si cade dalle nuvole dicendo che non accadrà più, senza prendere, però, provvedimenti. Quando l'avvocato Bongiorno propose di dare l'ergastolo a chi uccideva una donna, tutti diventarono garantisti. Il momento più tremendo è quando vi è un passaggio di stato - si pensi alla fine della Guerra di Secessione in America, che fu il momento peggiore per gli afroamericani tra la nascita dei Ku Klux Klan e l'aumento di stupri e uccisioni ai loro danni - e questo è allora il nostro momento più pericoloso, perché abbiamo ottenuto delle cose e i vecchi padroni ci uccidono. Questa è una strage che continua dai tempi dell'abolizione del diritto di onore, e ogni volta si va in piazza, facciamo i meravigliati, quando alla fine le donne vengono lasciate sole a loro stesse".
L'autodeterminazione femminile sotto forma di creazione e fonte di conoscenza
"Io non so cosa aggiungere dopo quanto detto da Barbara", afferma il regista Paolo Zucca: "Tornando al film, è chiaro che affronti questo e altri temi. Ci tengo comunque a dire che si tratta di un film sull'autodeterminazione e sulla lotta per la libertà, sul libero arbitrio, un film di leggerezza dove si ride" (Madonna compresa, come sottolinea Barbara Alberti). "Non vuol essere, dunque, un film rivendicativo, ma un film - come sottolinea anche Barbara in questi incontri con la stampa - di creazione con al centro la figura di una giovane Maria che lotta per la libertà, che danza, sogna e vuole leggere e scrivere. Tanto è vero che lo strumento principale di questo suo processo di emancipazione è la fonte di conoscenza, trovando nella figura di Giuseppe la persona adatta a questo suo desiderio. Un San Giuseppe non più con il bastone e l'asinello, ma maestro di sapienza, di vita e di conoscenza".
Un film moderno e umano
Al centro del Vangelo secondo Maria di Zucca vi è quindi una galleria di speranze, desideri e sogni auspicanti la conoscenza e la lettura, abilità negate al tempo al genere femminile. Nessuna esaltazione delle figure cristiane nella loro santità, ma uomini e donne colti nella loro più umile e fallace umanità. Sono personaggi quelli di Zucca (e ancor prima della Alberti) investiti dalla tentazione, brucianti di conoscenza, desiderosi di marcare la propria individualità. Non più statuine del Presepe, dunque, ma esseri umani fatti di carne e non più di cera. "E dovrebbe essere così", commenta a tal proposito Alessandro Gassmann; "non è che nell'antichità parlassero e si muovessero in maniera diversa. Erano comunque persone che amavano, odiavano, uccidevano, ridevano. Il nostro è un film molto moderno in questo senso, e la lettura che ne ha dato Paolo aiuta tanto a comprendere questo complesso rapporto tra un uomo adulto e una bambina, perché questo è il mio Giuseppe: un uomo saggio, intelligente che fa un passo indietro e risolve la vita di una ragazza e anche la propria".
E proprio per lenire il meno possibile il rapporto casto e rispettoso con Maria, Giuseppe divide in due il letto matrimoniale con un lenzuolo. Un gesto che non può non far pensare ad Accadde una notte di Frank Capra, ma che per Zucca non si tratta assolutamente di una citazione, "anche perché quel film io non l'ho visto" ci rivela lo stesso regista. Chi invece il capolavoro di Capra l'ha visto, tanto da aver pensato anche lei a quel momento, è invece Barbara Alberti, il che non può che spingere noi non solo a guardare il film prossimamente in sala, e poi disponibile su Sky, ma anche di recuperare lo stesso romanzo dell'autrice, edito da Mondadori.