Una folgorazione, un'ispirazione duratura è stato il Giappone, e la sua arte, per Vincent Van Gogh e non solo. In questa recensione di Van Gogh e il Giappone analizzeremo il modo in cui questo film documentario analizza, spiega e approfondisce l'amore e l'attrazione viscerale che il famoso e sfortunato pittore aveva per l'arte del Sol Levante, per le sue stampe, i suoi paesaggi esotici e le affascinanti figure femminili.
Van Gogh e il Giappone, ispirato all'omonima mostra ospitata dal 2018 nel Van Gogh Museum ad Amsterdam, è distribuito in Italia da Nexo Digital il 16, 17 e 18 settembre, all'interno del progetto "La Grande Arte al Cinema" che dal suo debutto a oggi ha portato in sala ben 2 milioni di spettatori e che continuerà con altri titoli dedicati alla storia dell'arte (Ermitage. Il potere dell'arte e Frida. Viva la vida)
L'ossessione di Vincent Van Gogh per il Giappone
Non ha mai messo piede sul suolo giapponese, eppure sentiva con esso una profonda connessione e attaccamento, una fascinazione quasi mistica, veicolata dall'arte e che dall'arte prendeva forza per tramutarsi in un'ispirazione duratura e caratterizzante. Vincent Van Gogh idealizzava e idolatrava la cultura giapponese, era rimasto profondamente colpito dalla vista delle stampe e dai libri che parlavano di cultura nipponica; al tempo in Olanda e Parigi, grazie alla Compagnia delle Indie, erano arrivate alcune stampe del pittore e incisore Katsushika Hokusai, un trionfo di paesaggi esotici, riprodotti in uno stile mai visto e accattivante, una rappresentazione "poco realistica" della natura così affine all'estetica di Van Gogh che non poteva non divenire carburante per la sua creatività. I colori vivaci e le ricorrenti figure femminili monopolizzarono la sua attenzione per diverso tempo, spingendolo a studiarne il tratto e la composizione. Nel documentario vediamo, attraverso l'analisi delle opere e la corrispondenza con l'amato fratello Theo, quanto il Sud della Francia, che tanto amava, gli ricordasse proprio quei paesaggi che non aveva mai veramente visto ma con i quali sentiva una profonda e costante connessione.
Giapponismo e post impressionismo
Non solo dell'artista, però, si parla in Van Gogh e il Giappone. Viene offerta, infatti, un'interessante analisi e un vero e proprio excursus sull'influenza che l'arte giapponese ha avuto sull'Europa dell'800, sul pensiero artistico e sulla moda dell'epoca. Il giapponismo si tramutò ben presto in un vero e proprio impeto culturale, specialmente nella seconda metà del diciannovesimo secolo, e molti degli artisti dell'epoca ne vennero inevitabilmente attratti. Pensiamo a Monet, Manet, Renoir, Klimt e tanti altri iniziarono a studiare e imitare l'Ukyo-e (un tipo di stampa artistica giapponese). Durante la visione ci vengono, quindi, mostrati dipinti di ogni genere, garantendo una certa completezza nell'esposizione. Nel tentativo di dare un'esaustiva immagine del contesto in cui questa corrente è stata possibile, però, ci è sembrato che il film si perdesse a tratti un po' per le vie del Sol Levante, dei suoi costumi e, talvolta, nella fascinazione che l'occidente suscitava su un paese per secoli isolato che aveva da poco aperto le porte alla cultura occidentale, osservandola prima, imitandola dopo. L'argomento, forse, avrebbe richiesto solo un rapido accenno, dopotutto quasi nessuno di coloro che ne rimaneva affascinato aveva mai visitato veramente quel luogo, lasciando all'immaginazione il difficile e fantasioso compito di riempire i vuoti, ed è proprio per questo che è anche interessante rendersi conto di come la terra lontana che tanto affascinava l'Europa in realtà non era immutabile come le sue preziose stampe, ma rincorreva la modernità sognando anch'essa l'altro capo del mondo.
Una struttura confusa ma interessante
Tutto questo ci viene raccontato attraverso le immagini dei tantissimi quadri di Vincent Van Gogh, dei post impressionisti, procedendo grazie a interviste a esperti e curatori della mostra nel museo Olandese, servendosi anche della copiosa corrispondenza che Vincent aveva con suo fratello Theo e che riesce a rendere pienamente la genuinità, il trasporto che provava verso un tipo di arte così diversa, ma così affine. Frasi intere di queste lettere dividono idealmente il documentario in segmenti, fungono da bussola per orientare lo spettatore in una narrazione che altrimenti risulterebbe piuttosto confusa, e che purtroppo lo è almeno in parte, seppur nel tentativo di essere il più possibile esaustiva. Quello che si percepisce è sicuramente l'impegno di trattare l'argomento nel modo più completo possibile, confezionando un documentario dal tono accademico con pochi guizzi di regia da parte di David Bickerstaff, ma preciso e interessante dal punto di vista dei contenuti e della particolarità dell'argomento trattato.
Conclusioni
Per riassumere la nostra recensione di Van Gogh e il Giappone possiamo affermare che questo documentario, mettendo al centro l’enorme fascinazione che il pittore e altri suoi contemporanei provavano per l’arte del Sol Levante, offre uno spaccato completo ed esaustivo del fermento artistico e culturale dell’Europa della seconda metà del diciannovesimo secolo. Ce lo racconta attraverso le lettere di Vincent al fratello Theo e grazie al contributo di diversi addetti ai lavori (Curatori del museo di Amsterdam, esperti del settore…) in una narrazione un po’ confusa e senza troppi guizzi ma accademica, completa e interessante.
Perché ci piace
- L’argomento trattato, intrigante e affascinante, specialmente per gli amanti del Giappone e della sua arte.
- La completezza nel descrivere un preciso periodo storico, tracciando non solo l’interesse di Van Gogh per l’arte nipponica ma anche quella dei suoi famosi contemporanei.
Cosa non va
- Un documentario a tratti un po’ confuso e con pochi guizzi narrativi e di regia.