Ogni film di Lech Majewski è un'esperienza per il pubblico e per gli interpreti. Non fa eccezione Valley of the Gods, viaggio on the road nell'omonima vallata dello Utah, sorella meno celebre della Monument Valley, ma altrettanto suggestiva. Il film di Lech Majewski è un'esplorazione di questa regione semidesertica, nella cultura e nella spiritualità dei suoi abitanti, gli indiani Navaho, ma è anche una critica neppur troppo velata al consumismo occidentale. Al centro della storia troviamo un giovane scrittore (Josh Hartnett) abbandonato dalla moglie che riesce a farsi ricevere nella magione impenetrabile del miliardario Wes Tauros (John Malkovich) per scrivere una biografia su di lui.
Valley of the Gods, ultimato nel 2019, arriva nei cinema italiani a partire dal 3 giugno. "Abbiamo aspettato per far vedere al pubblico il film in sala" spiega Lorenzo Ferrari Ardicini, Presidente di CG Entertainment che distribuisce il film in collaborazione con Lo Scrittoio. "Quelle di Lech Majewski sono immagini visionarie dense di emozione e poesia, vanno godute al meglio sul grande schermo. Per questo motivo non usciremo in streaming". Ad affiancare il regista, che ha presentato il film alla stampa in un incontro virtuale, intervengono due dei suoi interpreti, Keir Dullea, l'astronauta David Bowman di 2001 Odissea nello spazio, qui nel ruolo dell'assistente personale di Wes Tauros, e Bérénice Marlohe, che interpreta la bellissima e misteriosa Karen, sosia della moglie defunta del miliardario.
Da Otto e mezzo a Batman, una collisione di culture
"Tra tutti i registi con cui ho lavorato, Lech Majewski è quello più vicino a Kubrick, riserva la stessa attenzione ai dettagli" Keir Dullea esordisce col miglior complimento possibile al cineasta polacco. In effetti, col suo cinema d'autore non convenzionale che fonde modernità e spiritualità, Majewski ha sempre seguito un suo percorso eccentrico, lontano dai canoni del cinema commerciale pur essendo trapiantato a Los Angeles. "Josh Hartnett, che nel film pronuncia proprio un'invettiva contro il commerciale, mi ha confessato di aver scelto di fare l'attore dopo aver visto Basquiat, di cui ho scritto la storia originale per Julian Schnabel" spiega il regista. "Quello è l'amore per Otto e mezzo hanno creato subito una connessione. Una bella vendetta contro il cinema commerciale". Il regista ci tiene a puntualizzare: "Non faccio film per il il piacere di farli o per soldi. Per me è un'avventura, un modo per entrare in un altro mondo. Quando faccio un film mescolo fotografia, pittura, videoarte, ho bisogno di arricchirmi interiormente"._
Lech Majewski presenta I colori della passione
A colpire, durante la visione di Valley of the Gods, è soprattutto il personaggio di John Malkovich, miliardario cupo e taciturno che si circonda di bellezza nel tentativo di lenire il dolore per la perdita della moglie. "Quando scrivevo la storia di Basquiat ho incontrato un sacco di miliardari americani che collezionano arte" ricorda Lech Majewski. "La gente si chiede cosa si prova a sentirsi così potente, ad avere queste immense possibilità. In realtà vivono chiusi in prigioni dorate, timorosi di cosa possa succedergli. Hanno pochissima libertà, pur avendo tutti quei soldi non sono felici".
A dirla tutta, la relazione tra il miliardario di Malkovich e l'assistente interpretato da Keir Dullea ricorda da vicino quella tra Bruce Wayne e il maggiordomo Alfred. Tanto più che Wes Tauros, come Wayne, vive in un maniero impenetrabile circondato dalle tenebre. Quel cinema commerciale spinto fuori dalla porta rientra dalla finestra? Lech Majewski conferma sornione: "Valley of the Gods fa riferimento a due mitologie, quella antica dei Navajo e quella contemporanea pop. Nella cultura Navajo esiste il mito di una roccia nata da sperma umano che diventa un eroe protettore della gente. Ho voluto creare una collisione tra questo mondo e miti terreni come Batman, Quarto potere o 2001. Quando ho fatto visita alle case dei miliardari avevano stanze dedicate all'arte e alla cultura europea: italiana, spagnola, francese. Il senso di questo amalgama culturale è collegato alla voglia di mostrare la propria ricchezza".
Guida alla scoperta della cultura Navajo
L'idea di costruire una storia basata sulla cultura Navajo è nata in Lech Majewski negli anni '90, durante la preparazione di Gospel According to Harry con Viggo Mortensen. "Abbiamo visitato la Valley of the Gods e la Monument Valley in cerca delle giuste location. La valle si trova 2000 metri sul livello del mare, è segnalata da un cartello che ti avverte che stai entrando in un territorio sacro, bisogna esser rispettosi, il silenzio ti avvolge" ricorda il regista. "Quell'impressione, quei fantasmi mi hanno seguito per anni insieme al ricordo dei colloqui coi Navajo. Nel 2011 sono andato al Sundance con I colori della passione e sono tornato nella valle. Ho capito che dovevo scrivere quella storia, l'ho sviluppata, ho ricominciato a parlare coi nativi, poi mi sono recato in Arizona e ho studiato le loro leggende. I Navajo amano parlare con noi, sono ricchi di vita interiore nonostante vivano in povertà assoluta. Gli americani sanno poco e niente sui nativi, eppure la nostra mitologia è così povera e limitata in confronto alla loro".
Quale è stata la reazione dei Navajo alla visione di Valley of the Gods? "Sono orgogliosi, è uno dei pochi film fatti un bianco che assume la loro prospettiva. Non vedono il mondo in modo logico, hanno un approccio poetico. Quando vai nella Valley of the Gods sperimenti l'immensità degli spazi. Una volta una guida Navajo mi ha fermato mettendomi la mano sulla spalla, siamo rimasti immobili a lungo. Dato che non vedevo niente ho chiesto perché ci fossimo fermati e lei mi ha spiegato che stava passando la polvere di un cavallo morto. Bloccano le rocce con quattro bastoncini, uno a ogni estremità, per non farle scappare. Leggono la natura come un libro. Pur essendo poverissimi, vivono nella zona più ricca del mondo, a poca distanza da Las Vegas e Palm Springs".
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Il potere delle donne e quello dell'Italia
Bérénice Marlohe, enigmatica dark lady di Valley of the Gods, ha solo parole positive per descrivere l'esperienza con Lech Majewski: "Do molta valore all'arte, film come questi sono molto rari. Quando ho letto la sceneggiatura il mio intuito ha subito capito che era ciò che cercavo. Il film si pone i quesiti primari: perché siamo qui? Da dove veniamo? Lech ha una bella dimensione spirituale, è una persona ricca e complessa". Parlando del suo personaggio, l'attrice aggiunge: "Mi sono concentrata su un ipotetico patto col diavolo. Karen lascia da parte tutti i suoi principi perché è spinta da una forza superiore, l'amore per il figlio e la voglia di proteggerlo".
Girato nel Navajo Country con qualche breve puntata in Polonia, dove sono girate le scene ambientate nel maniero di Wes Tauros, in Valley of the Gods sono presenti numerosi riferimenti all'arte italiana. In una scena nel giardino del maniero compare perfino la Fontana di Trevi ("ottenere i permessi è stato difficilissimo, ma alla fine ci siamo riusciti, l'unico divieto è stato quello di non mettere i cantanti lirici dentro alla fontana"). Prima di fare il regista, Lech Majewski è stato uno studente di pittura. Tra i suoi riferimenti cita Ermanno Olmi e Giorgione, ma confessa che il suo sogno sarebbe "fare un film tratto da Dino Buzzati. Insieme a De Chirico, è il mio artista preferito. Ho un progetto segreto su Buzzati, ma non posso dir niente. Parlare del futuro è sempre pericoloso". Anche Keir Dullea ricorda con piacere l'esperienza nel Bel Paese: "In Italia ho girato due film, Il diavolo nel cervello con Stefania Sandrelli e Le ore nude. La cosa che mi ha colpito di più è che sul set non c'è divisione tra star e crew, non esiste gerarchia. L'esatto opposto di Hollywood".