Unknown: La grotta della scoperta, la recensione: caverne e scoperte, meraviglie e noia

La recensione di Unknown: La grotta della scoperta, documentario sulle straordinarie scoperte in campo antropologico tra le grotte del Sud Africa, in cui un tempo di racconto fin troppo dilatato svaluta la preziosità di eventi sorprendenti.

Unknown: La grotta della scoperta, la recensione: caverne e scoperte, meraviglie e noia

C'è qualcosa di ancestralmente magico intorno alla figura dell'archeologo e/o dell'esploratore. Un'aura iconografica e mitica, rafforzatasi nel tempo da personaggi come Indiana Jones e Lara Croft, rei di riportare in auge e insidiarsi nella fantasia di bambini e non, la figura di professioni abili nel cucire squarci tra passato e presente, colmando lacune, offrendo risposte.
Assistere all'opera di tali figure è qualcosa di ammaliante; ogni testimonianza di un passato nascosto, o analisi di fossili e reperti storici, segna un passo in avanti verso la compilazione di risposte a quesiti che da secoli ossessionano il genere umano: chi siamo? Da dove veniamo?

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Unknown: La grotta della scoperta - un'immagine del film

Come sottolineeremo in questa recensione di Unknown: La grotta della scoperta, il documentario diretto da Mark Mannucci e disponibile su Netflix, non intende solamente seguire con cura le operazioni di ricerca di paleontologici e archeologici nel sistema sotterraneo di Rising Star Cave in Sud Africa. Mettere insieme i resti che attestino non solo l'esistenza di un gruppo di Homo naledi (sorta di anello di congiunzione tra i primati e l'Homo sapiens), per i protagonisti immortalati dalla lente di Mannucci significa anche interrogarsi sul senso di umanità, ossia di quei legami familiari che hanno reso la nostra specie così unica, così speciale. Un affetto talmente profondo, quello qui indagato, da caratterizzare anche un momento doloroso come quello della morte. Destinare il sonno profondo di madri, padri, figli, amici alla profondità della terra è una celebrazione del lutto che pensavamo fosse prerogativa unica dell'essere umano, ma che il gruppo di ricerca capitanato dal paleoantropologo Lee Berger ha sdoganato con fare sorprendente. Eppure, qualcosa in queste scoperte impattanti frena il percorso di meraviglia spettatoriale. È un piede che lascia il pedale dell'acceleratore, facendo sì che la macchina della scoperta viaggi per inerzia lungo un percorso interessante, ma da osservare con apatia in un tempo superiore a quello strettamente necessario. Così facendo tutto si impoverisce, si riveste di polvere perdendo di preziosità, di valore, di sorpresa.

Unknown: La grotta della scoperta: la trama

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Unknown: La grotta della scoperta - una scena del film

L'Homo naledi è un primate scoperto nel 2013 in Sudafrica ed estintosi molti anni prima dell'arrivo dei sapiens. Unknowon: La grotta della scoperta non solo mette a confronto tale specie con quella dell'Homo sapiens, ma intende far luce su una scoperta destinata a cambiare per sempre il nostro modo di vedere le origini della nostra storia. Nel buio delle strette caverne sudafricane del Rising Star Cave, un team di esperti ha potuto stabilire infatti che l'Homo naledi praticasse la sepoltura dei morti 100.000 anni prima dei sapiens. Come sottolineato dal documentario di Mark Mannucci, tale scoperta ha aperto le porte a teorie infinite che spaziano da una possibile predicazione di vita dopo la morte, alle prime pratiche di fabbricazione di utensili in una specie che era ancora legata al selvaggio regno animale.

Dilatazioni narrative per scoperte senza tempo

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Unknown: La grotta della scoperta - una sequenza del film

Ultima tessera di un galleria documentaristica di esplorazioni in formato televisivo, Unknown: La grotta della scoperta soffre dello stesso limite che attanaglia gli episodi a essa precedenti: la preziosità e la sorpresa dei temi trattati - amplificati dalla portata di una scoperta così rivoluzionaria in campo antropologico - viene dilatata lungo coordinate troppo lontane ed estese, andando a tirare un discorso che poteva ridursi alla metà del tempo effettivo di narrazione. Distaccandosi dal lavoro sul campo, per riportare i propri protagonisti al tempo presente, in uno spazio neutrale come uno studio, o un appartamento, Unknown trancia il discorso come un verso tronco in una poesia infinita. Per quanto rientrante nei canoni realizzativi del genere documentaristico, lo spezzare continuo delle riprese all'interno della gotta fa sì che la magia si spenga, e tutto venga relegato a un momento successivo, che pare non arrivare mai. Così facendo i tempi si dilatano, il climax fatica a essere raggiunto, e l'attenzione dello spettatore cala, proprio nel momento in cui i suoi occhi dovrebbero riempirsi di unica, fantastica, meraviglia.

La morte come genesi di scoperta

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Unknown: La grotta della scoperta - una foto del documentario

Unknown: La grotta della scoperta è un'opera che dal genere documentaristico si slega dai dettami nozionistici per redigere un saggio sull'importanza degli affetti umani, e su quanto questi legami ci accomunino ai nostri, sconosciuti e primitivi predecessori. Un manifesto scritto prendendo come punto di riferimento quella morte da cui tutto si ferma per poi ripartire: il sonno eterno si fa nascita di nuove scoperte, nuovi puntini da collegare nel sistema evolutivo, nuove quesiti da porre e altre risposte da fornire. Ecco dunque che l'inserimento di sequenze animate volte a immaginare l'aspetto e i movimenti dell'Homo naledi, acuisce quel senso di commossa umanità nei confronti di questo ibrido ominide posto al centro della catena evolutiva.

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Unknown: La grotta della scoperta - un frame del film

Seppure tracciati da segni a matita e animati in maniera elementare, c'è qualcosa negli occhi di questi ominidi che va ad ancorarsi tra gli strati più profondi dell'epidermide umana, raggiungendo quel confine tra l'esterno e l'interno di uno spettatore prigioniero di una visione commovente e coinvolgente. Un momento epifanico, destinato a logorarsi nello spazio di interventi superflui e parole asfissianti in un ambiente che chiedeva solo silenzio. In questa giostra emozionata ed emozionante, la scelta di indugiare sulle reazioni fin troppo personali degli esperti immortalati sul campo, finisce per distogliere l'attenzione dello spettatore sul tema principale dell'opera, mettendo ancora una volta al centro del documentario non la scoperta, ma l'essere umano stesso.

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Unknown: La grotta della scoperta - una scena del documentario

Sebbene l'intera macchina del racconto cine-televisivo si basi su un processo di immedesimazione attivabile dalla visione di un nostro simile colto da un turbinio di sensazioni, nel genere documentaristico a fare da traino di questa componente emotiva è la scoperta stessa, o la storia che la narra: più rivoluzionaria, e sconvolgente, questa risulta, più l'attenzione del pubblico sarà desta e alta verso tale argomento. Focalizzare in maniera eccessiva la propria cinepresa sulle reazioni di un esperto rispetto a un altro, finisce così per auto-sabotare l'intero progetto, sottraendo quella patina di meraviglia a una missione magica, ipnotizzante, viva di umanità.

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Locandina di Unknown: La grotta della scoperta

Una docu-serie: ecco cosa poteva essere la saga di Unkwnown. Un libro da sfogliare sullo schermo televisivo, godendosi appieno un viaggio in tanti capitoli da quaranta minuti o poco più. Al resto ci avrebbero pensato le immagini sublimi dall'interno delle grotte di Rising Star, e degli inserti animati capaci di colpire al cuore e inumidire gli occhi di calde lacrime, a lasciare nello spettatore un senso di meraviglia misto a un'umanità solo apparentemente perdutasi nel corso dei millenni. Come una nonna insoddisfatta del proprio brodo, Mannucci ha voluto aggiungere troppa carne, troppi ingredienti superflui al proprio discorso, destrutturando uno schema di per sé perfetto e sufficientemente d'impatto. Ciò che ne risulta è un'opera a metà, un punto di incontro tra una scoperta accattivante, e un'egocentrismo di stampo umano: un ibrido, proprio come era il misterioso e affascinante Homo naledi.

Conclusioni

Concludiamo la nostra recensione di Unknown: la grotta della scoperta, sottolineando come il documentario disponibile su Netflix abbia dalla sua parte un argomento interessante e culturalmente d'impatto, indebolito però da una mal gestione del tempo di racconto. L'aver spesso distolto il fulcro dell'attenzione dalle scoperte, alla reazione personale degli esploratori, più che a facilitare il processo di immedesimazione spettatoriale, ha frenato l'immersione del pubblico all'interno della storia. Peccato.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.8/5

Perché ci piace

  • L'argomento trattato, una vera rivoluzione in campo antropologico.
  • Gli inserti animati, di una poesia commovente.
  • La fotografia cangiante e naturale.

Cosa non va

  • La durata eccessiva.
  • La decisione di porre al centro dell'attenzione gli esploratori, tralasciando la portata della scoperta.