Una serie di (s)fortunati eventi
Julien Monnier è un consulente coniugale, un professionista che cerca di 'aggiustare' matrimoni e relazioni. Medico cura te stesso, recitava un antico adagio e mai frase è stata più appropriata per definire la bizzarra situazione di Julien; se il poveretto si innamora di una donna concentra su di lei una quantità inverosimile di disgrazie. La ragazzina a cui ha dato il primo bacio è stata scaraventata in acqua, una focosa compagna di scuola è finita sulla piastra incandescente della cucina di casa, un'altra fiamma era semplicemente allergica alla sua saliva e via di seguito. Quando Julien incontra Joanna il dilemma si propone nuovamente: cedere alle lusinghe dell'amore e quindi condannarla ad una vita di tragedie ravvicinate oppure lasciarla e condannare se stesso ad un'esistenza vuota e solitaria? In un impeto di immotivato ottimismo l'uomo sceglie l'amore. E la storia si ripete. Proprio quando la giovane designer, impiegata nello studio di un artista bizzarro, è alle prese con il lavoro più importante della carriera, il progetto di una macchina avveneristica.
Quella di Julien, protagonista della commedia di Nicolas Cuche, Per sfortuna che ci sei, sembra una vecchia favola; il principe coraggioso viene maledetto da una strega una cattiva che lo trasforma in un portasfortuna. Poi, un bel giorno, arriva una dolce fanciulla che con il suo amore spezza l'incantesimo. E tutti vissero felici e contenti. In effetti il film del regista francese non si distacca molto da questo canovaccio consueto, riletto ovviamente in chiave più 'moderna', con l'aggiunta di dialoghi briosi e di alcune sequenze davvero esilaranti. Prendendo come punto di riferimento i classici del 'politicamente scorretto' all'americana come Ti presento i miei, Cuche realizza un'operetta godibile che riscrive in chiave umoristica il dramma amoroso, facendolo partire da un presupposto decisamente nuovo, ovvero la sfortuna. Fra le tante commedie sentimentali che ogni anno arrivano sul nostro mercato raramente ci è capitato di vederne una che in maniera così diretta affronti l'annosa questione della 'sfiga' come origine dei problemi di cuore. La mente corre subito alla feroce ironia di Luigi Pirandello e della sua Patente, amaro racconto delle alterne 'fortune' di un uomo che vorrebbe ottenere il massimo dalla pessima nomea di iettatore; ma non c'è traccia dello spirito acre del genio siciliano in questo film, strutturato per non turbare troppo il pubblico e per guidarlo verso un lieto fine che accontenti tutti. Senza mai trasformare la 'scorrettezza' delle situazioni in riflessione ironica sui rapporti uomo-donna, il film inanella una lunga sequela di gag innescate dai disastri creati dal protagonista, una sorta di Cupido-Paperino con cui si solidarizza fin da subito, anche se la simpatia che lo spettatore prova finisce per restare solo ad un livello epidermico. Manca del tutto la profondità nel racconto orchestrato da Cuche, quella ricca gamma di sfumature che dovrebbero essere utilizzate tutte per rendere al meglio la complessità dei sentimenti che si tenta di rappresentare. Insomma si ride per la rocambolesca fine del cane di famiglia di Julien, per il vibratore presentato per sbaglio da Joanna davanti all'assemblea dei suoi capi, ma non si riflette abbastanza sul paradosso più assurdo su cui poggia l'intera esistenza del protagonista e cioè che l'uomo lavora per tenere insieme coppie destinate alla separazione, ignorandone la vera realtà e spacciando l'inganno per tattica psicologica. Qui il regista avrebbe potuto giocare una partita diversa, sfruttando la bravura dei suoi interpreti, per tratteggiare una storia che andasse ben al di là del semplice nesso di causa-effetto tra botta in testa e risata generale. Se il risultato arriva alla sufficienza lo dobbiamo all'affiatamento del gruppo di attori, in particolare della coppia degli interpreti principali, Francois-Xavier Demaison e la belga Virginie Efira, a loro agio con i rispettivi ruoli.
Movieplayer.it
3.0/5