Una bugia per la vita
Ha un indubbio fascino l'adattamento italiano del titolo del nuovo film di Radu Mihaileanu, ma nella traduzione riveduta e accorciata è andata persa una parte importante di quello originale. Così, Va, vis et deviens è stato trasformato in Vai e vivrai, titolo comunque suggestivo, ma che non restituisce a pieno la forza evocativa del primo, perché vai, vivi e diventa è l'esortazione simbolo della storia raccontata: sono le parole di una madre cristiana che spinge il proprio bambino a dichiararsi ebreo per salvarlo dalla carestia che devasta il suo paese, l'Etiopia, e trovare rifugio in Israele, ma è anche l'esplicitazione della struttura narrativa del film, diviso in tre capitoli che raccontano l'odissea del piccolo Schlomo, il distacco dalla propria terra e, soprattutto, dalla propria madre, il dover vivere nella menzogna, fingendosi ciò che in realtà non è, per far salva la pelle, e il diventare uomo, superando guerra e discriminazioni, senza dimenticare le proprie origini.
Come nei suoi precedenti film, Mihaileanu fa partire il suo film da una menzogna a fin di bene: Schlomo è costretto a fingersi ebreo e a stringere la mano di un'altra madre, per accodarsi all'operazione Mosè, una vasta azione organizzata nel 1984 da Israele per portare migliaia di Falasha, gli ebrei etiopi, in Terra Santa, salvandoli così dalla carestia che li stava uccidendo uno dopo l'altro, ma seppellendone comunque tanti durante un estenuante viaggio al quale non è stato facile sopravvivere. Ancora una volta il regista rumeno (ma francese d'adozione), si ferma a guardare il mondo e scuote la testa, osservando come la salvezza oggi costringa all'impostura. Il diritto alla vita sembra sempre più spesso passare attraverso una dichiarazione di appartenenza e il più debole è costretto a mentire per conquistarsi un posto nel mondo. Cosa può capire un bambino delle regole dei grandi, quando tenta di coprirsi gli occhi terrorizzati per non svelare il suo segreto? Eppure per Schlomo ci sono mani tese e braccia aperte, quelle di una nuova famiglia che lo accoglie con affetto, tra le amorevoli cure di una madre protettiva, pronta a leccargli il volto di fronte a chi lo discrimina, e la naturale invidia del nuovo fratellino.
Mihaileanu tenta, come in Train de vie - Un treno per vivere, di tirar fuori dalla tragedia un umorismo che alleggerisca i toni, ma stavolta si sorride davvero poco, e non potrebbe essere altrimenti quando sullo schermo c'è un bambino triste che tiene gli occhi sempre bassi e li alza solo di notte, quando nessuno può vederlo, per volgerli alla luna sognando di tornare dalla sua vera madre. Sono davvero tante le tragedie raccontate nel film, perché sullo sfondo della storia del piccolo Schlomo e del suo popolo in fuga, tra morte e malattie, c'è Israele con le sue contraddizioni, c'è la guerra nei territori occupati, che fa migliaia di vittime, ma nella quale spesso non si riconosce il nemico, c'è la follia del razzismo che vuole cacciare i bimbi di colore dalle scuole. Mihaileanu fotografa con grande lucidità la realtà israeliana, tra strette di mano senza futuro, fanatismo religioso e disillusione imperante, e sottolinea incisivamente le lacerazioni interne, di chi vorrebbe abbandonare quella terra per non destinare i propri figli ad un futuro da soldati, ma, nello stesso tempo, vorrebbe restare per non darla vinta ai guerrafondai.
Vai e vivrai è un film di emozioni semplici, girato con piglio quasi documentaristico e con quello sguardo innocente che è proprio del suo piccolo protagonista, un bambino con tante madri che impara a diventare un uomo nonostante tutto, ma è anche un film molto ambizioso, che si muove su molteplici piani per riflettere su pagine, più o meno conosciute, della Storia recente, imperlate di sangue e lacrime, dove si perdono di vista i vincitori e i vinti, e restano negli occhi soltanto le vittime. Mihaileanu è impegnato a raccontare venti anni di piccole e grandi storie, soffermandosi spesso più sulle sensazioni che sull'approfondimento degli eventi, che finiscono col susseguirsi caoticamente, nonostante la ragguardevole durata della pellicola che supera abbondantemente le due ore. Sette anni dopo il suo ultimo film, il regista rumeno sembra aver perso il tocco magico, quella perfetta alchimia di fattori che aveva reso Train de vie un vero e proprio gioiello, ma il suo resta un cinema sincero, che apre la mente su eventi drammatici che hanno avuto poca eco nel mondo e su vicende calde che tengono quello stesso mondo in perenne tensione.