Recensione Prova a incastrarmi - Find Me Guilty (2005)

Sidney Lumet torna al cinema con Prova a incastrarmi - Find Me Guilty, un poco riuscito mix tra processuale e commedia.

Un verdetto quasi comico

Sidney Lumet torna al cinema processuale con la messa in scena del più lungo processo della storia degli Stati Uniti, in cui ben venti imputati (tutti membri di un unico clan mafioso italo-americano) furono accusati di 76 reati penali. Lumet, che collabora anche alla sceneggiatura, sceglie un tono più vicino alla commedia rispetto ai film che l'hanno reso celebre (La parola ai giurati, Il verdetto) con un risultato molto poco convincente che rischia più volte di apparire agiografico. Protagonista del film è infatti il gangster Jackie DiNorscio, già condannato a 30 anni di carcere per traffico di stupefacenti, che nel 1987, durante i ventuno mesi del processo di cui sopra, decise di non avvalersi di un avvocato difensore finendo così con il divertire e sorprendere l'intera America con il suo senso dell'umorismo e con le sue dichiarazioni spesso sopra le righe.

La sceneggiatura segue fedelmente gli avvenimenti dell'epoca utilizzando anche intere trascrizioni delle testimonianze avvenute in tribunale, così com'è fedele ovviamente nel finale che vede lo scagionamento di tutti gli imputati, ma è il modo in cui ci mostra questi avvenimenti che infastidisce: non si tratta infatti di un'accusa diretta nè al sistema giudiziario americano nè all'assurdità del caso, ma di un ritratto divertente e quasi scanzonato di un episodio della storia americana sicuramente memorabile, ma che forse sarebbe auspicabile dimenticare e non "celebrare" come avviene nella sequenza finale con baci, abbracci e il sottofondo musicale di When You're Smiling (The Whole World Smiles With You).

Dal punto di vista processuale nulla di interessante o originale, vengono utilizzati i soliti stereotipi del giudice inflessibile e comprensivo, del procuratore spietato e combattivo, della giuria dal buon cuore e del pubblico pronto a prendere le parti dei "buoni" della situazione: peccato però che in questo caso i "buoni" davvero non ci siano, così come non c'è una testimonianza o una prova offerta in aula in extremis che possa in qualche modo giustificare il verdetto "positivo".
E' evidente come lo scopo di Lumet voglia essere quello di mostrarci come il carisma di un personaggio o il lato umano del familismo mafioso possano essere per una giuria l'aspetto più importante, ma è anche vero che il personaggio interpretato da Vin Diesel (anche per evidenti limiti dell'attore, con buona pace dei critici d'oltreoceano) secondo noi di affascinante ha veramente ben poco.

Movieplayer.it

2.0/5