Recensione The Conspirator (2010)

Redford racconta con vigore, dal suo punto di vista, una storia controversa come l'assassinio di Abraham Lincoln, ricostruisce con grande efficacia il clima politico dell'epoca diviso tra la paura e la voglia di voltar pagina, offre uno spaccato che dal pubblico si sposta gradualmente verso il privato.

Un sogno a rischio, ieri come oggi

L'assassinio di Abraham Lincoln: uno dei primi, grandi traumi per la nazione americana, arrivato subito dopo la fine di una guerra civile sanguinosa, che aveva già messo seriamente in discussione l'esistenza stessa degli Stati Uniti. Un omicidio tramite il quale, per la prima volta, l'America ha l'occasione di confrontarsi con sé stessa, con le ragioni della propria esistenza, con la tenuta democratica delle sue istituzioni e con la propria stessa Costituzione. La libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti civili, sono valori da garantire senza eccezioni, anche in un periodo di serio pericolo per la sicurezza e le istituzioni? O, in certe situazioni, è possibile derogare ad essi in nome del bene supremo della sopravvivenza della nazione? Un atto criminale portato al cuore stesso dello Stato richiede giustizia o vendetta? Interrogativi che dovettero scuotere l'opinione pubblica americana in quel lontano 1865, in cui un tribunale militare giudicò colpevoli di cospirazione, condannandole a morte, quattro persone tra le quali era presente una donna, Mary Surratt (l'esecutore materiale del delitto, l'attore John Wilkes Booth, era stato ucciso in un conflitto a fuoco poco dopo l'agguato). Un processo tuttora dubbio, quello a carico della Surratt, basato su elementi indiziari e mosso probabilmente più dalla volontà di una condanna esemplare, che mostrasse all'opinione pubblica la fermezza nei confronti del terrorismo di marca sudista, piuttosto che da una reale esigenza di giustizia.


Non è difficile scorgere, in tutto ciò, assonanze con la situazione politica statunitense post-11 settembre, con la dottrina della guerra preventiva di George W. Bush, con leggi liberticide come il Patriot Act e con orrori (non ancora cancellati dal nuovo corso della politica americana) come il carcere speciale di Guantanamo. Robert Redford, d'altronde, è da sempre uomo di cinema genuinamente schierato, che già nella sua carriera di attore aveva coerentemente interpretato personaggi (il cronista di Tutti gli uomini del presidente, l'impiegato de I tre giorni del condor, tanto per citarne due) che erano emblemi di una denuncia senza mezzi termini delle storture del sistema. Così, come il precedente Leoni per agnelli, anche questo The Conspirator è un film d'impegno civile, che racconta il passato per far riflettere sul presente: quello di un'America preda delle sue contraddizioni, che quando minacciata, anziché rispondere con la fermezza dei suoi valori, tende a negare questi ultimi e ad immolare anche vite innocenti sull'altare della lotta contro il nemico di turno. C'è un filo rosso che lega la figura di Edwin Stanton, il Ministro della Guerra interpretato da Kevin Kline, che serenamente teorizza la sospensione dei diritti civili in tempi di guerra interna, con l'establishment repubblicano (e in parte democratico) tuttora impegnato nella lotta al terrorismo islamico. La posta in palio è sempre la stessa: la sopravvivenza dell'America come potenza realmente democratica, guida per gli altri popoli non in ragione della forza delle sue armi, ma di quella delle sue idee.

Qui Redford, riprendendo una vecchia sceneggiatura scritta da James D. Solomon, racconta con vigore, dal suo punto di vista, una storia controversa, ricostruisce con grande efficacia il clima politico dell'epoca diviso tra la paura e la voglia di voltar pagina, offre uno spaccato che dal pubblico si sposta gradualmente verso il privato: quello di una madre che affronta la lacerante condizione di dover accusare suo figlio per salvarsi, e quello di un uomo che, finora orgogliosamente schierato da una parte, quella vincitrice, si trova a dover difendere la parte avversa ed è costretto a comprenderne le ragioni. L'avvocato Frederick Aiken (interpretato da un ottimo James McAvoy) è infatti un ex soldato unionista, orgoglioso e patriottico, che viene praticamente costretto dal suo mentore (un Tom Wilkinson che ha più di una somiglianza col professore universitario interpretato da Redford nel precedente film) a prendere le difese della presunta cospiratrice Mary Surratt, a cui dà il volto un'intensa Robin Wright. La graduale convinzione dell'avvocato dell'innocenza della donna, la sua tenace battaglia per salvarle la vita, che gli costa anche l'ostracismo degli amici e la non comprensione da parte della compagna, rappresentano per Aiken anche la riscoperta dei suoi stessi valori, il senso del suo essere americano che è anche quello dello stesso regista, democratico convinto e fautore di una visione progressista del sogno americano.
Il regista abbandona così il taglio neutro, a tratti antispettacolare, che aveva caratterizzato la regia di Leoni per agnelli, per dare al film un'anima profondamente emozionale, che vibra di indignazione per i soprusi a cui viene sottoposta la protagonista, e che si immerge direttamente nel dramma di una famiglia che, semplicemente, si è trovata a combattere dalla parte sbagliata, e ora sta subendo quella che è a tutti gli effetti una vendetta. Un'emotività tuttavia sempre controllata da una regia rigorosa, che ricostruisce con attenzione ed efficacia spettacolare le varie fasi del processo, e che sfrutta con sapienza i meccanismi che il cinema (e l'esperienza del regista) mette a disposizione per coinvolgere lo spettatore senza ricattarlo. Lo stesso look del film, che si avvale, oltre che di un'attenta ricostruzione scenografica, di una peculiare fotografia tutta giocata sui chiaroscuri e su una graduale desaturazione dell'immagine, mostra chiaramente lo sforzo di una ricostruzione d'epoca che abbia alla sua base la credibilità. Caratteristica quest'ultima che, insieme all'onestà e alla lucidità di intenti, fa di The Conspirator un film da vedere e ripensare con attenzione, cinema in grado di dire molto, attraverso la narrazione del passato, sulla nostra confusa e sempre più sfuggente realtà contemporanea.

Movieplayer.it

4.0/5