"È una versione di Com'era verde la mia valle sul surf: la scomparsa di un'aristocrazia, la fine di un'era, il passaggio da un'epoca più innocente a una più corrotta e complessa". Con questa parole, in un'intervista, John Milius descriveva il progetto più personale della sua carriera da regista: era l'estate del 1976, ovvero due anni prima che Un mercoledì da leoni vedesse finalmente la luce. Milius aveva appena ottenuto i finanziamenti necessari dalla Warner Bros, eppure il film, basato sulla sua giovinezza e sulla sua esperienza di surfista, avrebbe richiesto una gestazione più lunga e complessa del previsto.
"Questo film parla di amicizia, il surf è soltanto lo sfondo", spiegava ancora Milius; "Parla dell'amore per un luogo, dell'amore per un'epoca, dell'amore per i tuoi contatti umani e della perdita di queste cose. È probabilmente il film più personale che realizzerò mai, e credo di doverlo realizzare adesso, prima di allontanarmene troppo". E il senso del trascorrere del tempo, della fine di un'irripetibile stagione dell'esistenza, in Un mercoledì da leoni è quanto mai palpabile. Pochi altri film, del resto, hanno raccontato con trasporto altrettanto genuino lo spirito della generazione nata negli anni Quaranta: la generazione che avrebbe attraversato l'ultima "età dell'innocenza" americana e che avrebbe sperimentato sulla propria pelle la tragedia del conflitto in Vietnam.
Leggi anche: Allacciate le cinture: da Rollerball al nuovo Point Break, gli sport estremi al cinema!
Le estati passavano rapidamente, e spesso non lasciavano traccia. Forse ricordo meglio gli autunni e le altre stagioni.
Il ritratto di un'amicizia firmato da John Milius
Distribuito negli Stati Uniti il 26 maggio 1978, Un mercoledì da leoni sarebbe arrivato in Italia il 3 ottobre, esattamente quarant'anni fa: un anniversario che Infinity TV ha deciso di celebrare rendendo disponibile il classico di John Milius nel proprio catalogo. La genesi del film risale a un racconto autobiografico pubblicato nel 1974 dal giornalista Denny Aaberg, ex compagno di surf di Milius: i due decidono di collaborare per trarne il soggetto per una pellicola e scrivono a quattro mani la sceneggiatura. Una sceneggiatura tutt'altro che semplice, come ammette anche Milius: ambientato sulle spiagge del Sud della California, Un mercoledì da leoni copre un arco cronologico di ben dodici anni, dall'estate del 1962 all'estate del 1974, seguendo una trama frammentaria e segnata da numerose ellissi, con un approccio narrativo decisamente atipico rispetto ai canoni del cinema americano.
Perché più di singoli eventi, a costituire il cuore pulsante del film è proprio la descrizione dell'amicizia fra i tre personaggi principali, accomunati dalla passione per il surf: Matt Johnson (Jan-Michael Vincent), Jack Barlowe (William Katt) e Leroy Smith (Gary Busey). Nel cast ci sono attori non molto conosciuti (quello stesso anno, Gary Busey avrebbe ottenuto una nomination all'Oscar per il biopic La storia di Buddy Holly) e il film, che mescola umorismo e malinconia, non riesce a replicare i fasti del fenomeno American Graffiti. Al contrario, alla sua uscita Un mercoledì da leoni si rivela un inaspettato fiasco in patria, registrando appena due milioni di spettatori: un insuccesso a cui, gradualmente, renderà giustizia il tempo, fino a trasformare l'opera di Milius in uno dei cult movie più rappresentativi del cinema americano degli anni Settanta.
Leggi anche: Box Office Surprise! Quindici fenomeni che hanno lasciato il segno
L'estate, il surf e lo spettro del Vietnam
Ed è alla leggerezza di American Graffiti, e più in generale ad un preciso filone all'interno del genere del coming of age, che John Milius si richiama nella prima parte del film. L'ambientazione è la California del 1962, i personaggi sono poco più che adolescenti e le sole attività che riempiono le loro giornate sono le bevute con gli amici, i flirt con le ragazze e il surf, la nuova pratica sportiva entrata in voga proprio in quel periodo. Il surf, messo in scena da Milius con un afflato quasi epico, assurge così a simbolo non solo di un preciso momento storico, ma di un atteggiamento verso la vita: "Il mito dell'individualismo americano e dell'uomo solo di fronte alla furia degli elementi", come sottolinea Paolo Mereghetti. E nelle prime sezioni del film, le cavalcate di Matt, Jack e Leroy sulle onde dell'oceano sono intervallate dalla spensieratezza dei vent'anni: lo svago, i primi amori e le feste goliardiche, accompagnati dalle indimenticabili ballate pop composte da Carole King e Gerry Goffin (nella colonna sonora fanno bella mostra The Loco-Motion di Little Eva e Will You Still Love Me Tomorrow? delle Shirelles).
Trascorrono gli anni, e le radiose giornate estive verranno oscurate dallo spettro del Vietnam. Nel film la guerra non è mai mostrata direttamente sullo schermo: Milius descrive con gioviale ironia le visite mediche delle reclute, molte delle quali tentano con ogni espediente di farsi riformare (fra i tre amici, soltanto Jack presterà servizio in Vietnam), per poi confinare "fuori campo" il conflitto, di cui tuttavia è impossibile non avvertire il peso. In questa prospettiva, Un mercoledì da leoni esce in un'annata davvero emblematica: tre mesi prima, a febbraio, Hal Ashby aveva riportato un enorme successo con Tornando a casa, in cui Jane Fonda interpreta la moglie di un ufficiale dei marine spedito al fronte; a dicembre, invece, farà il suo debutto Il cacciatore, capolavoro di Michael Cimino incentrato sull'orrore del Vietnam e sulla difficoltosa reintegrazione dei reduci. A differenza di questi due titoli fortunatissimi, Un mercoledì da leoni filtra il dramma, stemperandolo nella malinconia per un'epoca che si allontana in maniera ineluttabile.
Leggi anche: Ricordando Michael Cimino: l'affresco di un'America fra bellezza e violenza
I momenti di gloria di una generazione sconfitta
Nel film di Milius, infatti, la dimensione storico-politica è del tutto implicita, subordinata a quella prettamente intima e privata dei tre comprimari: la famiglia, le delusioni, la ricerca di un futuro che offre ben poche certezze, la sommessa sofferenza per le persone perdute lungo il cammino. E poi la riflessione sull'amicizia, legame capace di resistere alle onde del tempo e sublimato in un finale maestoso e solenne: il Big Wednesday del titolo originale, la grande mareggiata dell'estate del 1974, che vedrà Matt, Jack e Leroy fianco a fianco, ancora una volta, sulle tavole da surf, impegnati a domare le onde più alte che abbiano mai affrontato. Un estremo "momento di gloria", ma anche il punto d'arrivo di una generazione che ha conosciuto il Sogno Americano e il suo fallimento: quel fallimento che proprio la New Hollywood ha contribuito a certificare, senza però rinunciare a una profondissima, irrinunciabile empatia nei confronti di chi, a quelle macerie, è riuscito nonostante tutto a sopravvivere.