Ospite del Festival dei Popoli di Firenze per presentare la sua ultima fatica, il controverso documentario Wicked Games Rimini Sparta, Ulrich Seidl si è concesso al pubblico fiorentino per una ricca masterclass in cui ha analizzato il suo cinema partendo dagli esordi (in)felici. Il regista austriaco ha, infatti, ricordato come, dopo aver frequentato per due anni una scuola di cinema, è stato costretto a lasciarla in seguito allo scandalo provocato dal suo primo lavoro, The Prom.
Il documentario racconta il ballo studentesco della città natale del regista, Horn, ma il risultato, secondo il corpo docente, "danneggiava la reputazione della scuola": "Nel film avevo intervistato sindaco e giunta di Horn, ma il mio ritratto della provincia austriaca è stato ritenuto scandaloso. I viennesi si sono molto divertiti non sapendo che questo stesso film lo si sarebbe potuto girare all'Opera di Vienna. The Prom è stato vietato, è stata fatta pressione perché non venisse proiettato e io non ricevessi altri finanziamenti. Alla fine ho dovuto noleggiare il cinema per proiettarlo. Oggi è considerato un classico".
Un cinema che mette a disagio lo spettatore
Fin dagli esordi, il cinema di Ulrich Seidl si è rivelato ruvido, disturbante, sconvolgente. Il regista viennese si è orientato sul racconto della vita reale degli individui, ma la sua realtà è modificata e ricomposta secondo i suoi criteri. "Realizzare In the Basement è stato difficilissimo perché volevo mostrare l'abisso umano, i lati oscuri delle persone, andando oltre l'attrezzatura che avevano in cantina. Cerco un contatto con le persone, voglio che si sentano libere di dire qualsiasi cosa, altrimenti le scarto" spiega. "Con molti mantengo i rapporti per anni. Uso inquadrature fisse in cui gli interpreti guardano e parlano in macchina, ma faccio anche ampio uso della macchina a spalla, lasciando campo libero all'improvvisazione. Il fotogramma costringe lo spettatore a guardare direttamente negli occhi l'attore e a provare un certo disagio. Come se la vita si fermasse in quel momento".
Ispirarsi ai maestri per poi tradirli
Un cinema così puntale e a tratti crudele ha chiaramente dei modelli di riferimento specifici che però, come spiega il regista, "sono presenti solo all'inizio; poi con l'esperienza scompaiono. Per The Prom mi sono ispirato a Jean Eustache e ai suoi documentari. Anche lui aveva girato un film che raccontava la regina delle rose, mostrando lo stato della società in una cittadina dell'epoca. Posso citarne tanti altri, Herzog, Pasolini, Bunuel, Cassavetes, ma fin da subito ho voluto fare film per il cinema". Seidl ammette di aver scelto di concentrarsi sul documentario, "per sentirmi libero". "Nella fiction vengono spesso richieste modifiche allo script, molti registi sono stati costretti a modificare i loro film nell'arco degli anni e alla fine si trovano a girare film che non volevano più girare. Il documentario è meno soggetto ai controlli, richiede meno finanziamenti, è più agile e ci vuole meno tempo". Ulrich Seidl ama lavorare con un'equipe ridotta e con attori non professionisti, "così non mi devo attenere al copione, ma lascio spazio alla spontaneità. Se mi serve la pioggia aspetto che piova realmente, cambio in continuazione il copione adeguandomi alle circostanze".
Gli attori non devono interpretare, devono essere
Il cinema "umanista" di Ulrich Seidl non disdegna di affrontare temi di rilevanza sociale, in un'acuta osservazione critica del mondo che ci circonda, di cui amplifica gli aspetti che più lo colpiscono lasciando che sia lo spettatore a reagire nel modo che più ritiene opportuno. "I miei film invitano a specchiarsi nei personaggi, ma non tutti accettano questa responsabilità e se ne tirano fuori" spiega. "Sono contento quando riesco a infondere umorismo nella storia, ma non sempre è così. A volte qualcuno ride e quello accanto si arrabbia, ma questo ha a che fare con il modo in cui noi stessi interpretiamo il film".
Il regista si sofferma poi su uno dei suoi lavori più discussi, Paradise: Love, incentrato su una cinquantenne austriaca che è alla ricerca dell'amore nel mondo africano "perché in Europa è fuori mercato, in Africa trova un partner che le riserva attenzioni, tenerezza e sessualità. Non ci sono buoni e cattivi, vittime o sfruttatori, per me è importante riprodurre la complessità. Non do nessun giudizio, né positivo né negativo. Penso che in ognuno di noi c'è il bene e il male. Sta allo spettatore valutare i singoli personaggi". Il regista specifica: "I miei attori non devono interpretare un ruolo, devono essere quella persona. Non è semplice, anche se sono facilitati perché non hanno dialoghi quindi possono improvvisare. Ciò che conta per me è che attori siano credibili. Lo spettatore deve percepire la vicinanza di questa riproduzione del mondo".