Tutto in una notte
Fin dalla locandina si nota qualcosa di strano. Non è una delle solite locandine italiane, ammiccanti, che puntano ad inserire più attori di richiamo possibili in modo da calamitare pubblico.
Al contrario una locandina geometrica, asciutta, ma anche suggestiva, che richiama in qualche modo lo stile classicamente innovativo di film quali Anatomia di un omicidio di Otto Preminger, o il più recente Burn After Reading - A prova di spia dei fratelli Coen.
Aspettando il sole di Ago Panini, sin dal suo aspetto esteriore apparentemente più distante dalla pellicola, si connota come "diverso".
Ed effettivamente, avvicinandoci al girato, il film è un tentativo di tratteggiare una storia, ma anche di utilizzare un modus narrandi, assai inconvenzionale per il belpaese. Seguendo una traccia dal sapore vagamente altmaniano, la sceneggiatura incrocia le storie surreali che si svolgono nel corso di una sola notte nelle stanze dell'hotel Bellevue, un posto qualsiasi sperduto nella provincia italiana dei primi anni '80.
Panini si ritrova fra le mani un vantaggio e uno svantaggio allo stesso tempo: quello di poter disporre di un grande cast. Vantaggio sicuramente perchè può tranquillamente contare sul grande mestiere dei propri attori nel sostenere storie che spesso si riducono, come azione, a dialoghi a due, o a veri e propri monologhi. E' questo il caso del personaggio di Raoul Bova, o di quello di Claudia Gerini, per citarne solo due fra tanti.
Ma si potrebbe continuare con Alessandro Tiberi, Bebo Storti, Gabriel Garko, per arrivare ad un'insolita Vanessa Encontrada nei panni di una romantica pornostar.
Storie di periferia, ma anche storie grottesche, ai limiti del noir, intarsiate da numerosi inserti dal sapore surreale. Si incrociano così tre sbandati senza meta, con un portiere di notte in perenne guerra con tarli e termiti, un regista di film hard con troupe al seguito, un deluso d'amore, un omuncolo che nasconde un grande segreto, un amante che ha compiuto l'irreparabile con l'amato.
Storie che si sfiorano, senza incrociarsi mai, e che hanno come unico punto di collegamento lo spazio fisico nel quale si svolgono, e poco più. Lo stile, la regia, la fotografia, l'ambientazione. Tutto rimanda ad un modo di fare cinema che in Italia è poco praticato. La ricerca di un'originalità che spesso si disperde in virtuosismi o in momenti morti, ma che altrettante volte genera un'alchimia che dà vita a sequenze dense di ritmo e affatto banali.
Un film nel quale è inutile seguire una storia. Quel che interessa sono "le storie" della normale follia di un Paese che, in quegli anni, faceva fatica a guardarsi, o che, viceversa, indugiava fin troppo nell'autocompiacimento.
Peccato per il quarto d'ora finale, tirato via con apparente fretta, così come l'ultima scena vera e propria, affatto pungente ed efficace così come si riprometteva di essere. Un noir grottesco, non buonista, che non rimarrà di certo nella memoria collettiva come una pellicola di valore assoluto, ma che costituisce un promettente base di partenza per il futuro di Panini, regista che sembra serbare del talento.